guerra all'italico declino

FEDERALISMO; necessità italica di DITTATURA CORRETTIVA a tempo determinato per eliminazione corruzione, storture e mafie; GIUSTIZIA punitiva e certezza della pena; LIBERISMO nel mercato; RICERCA/SVILUPPO INNOVAZIONE contro la inutile stabilità che è solo immobilismo; MERCATO DEL LAVORO LIBERO e basato su Meritocrazia e Produttività; Difesa dei Valori di LIBERTA', ANTIDOGMATISMO, LAICITA' ;ISRAELE nella UE come primo baluardo di LIBERTA'dalle invasioni. CULTURA ED ARTE come stimolo di creatività e idee; ITALIAN FACTOR per fare dell'ITALIA un BRAND favolosamente vincente. RISPETTO DELLE REGOLE E SENSO CIVICO DA INSEGNARE ED IMPORRE

venerdì 30 settembre 2011

La lettera originale della BCE

La lettera TRADOTTA IN ITALIANO

«C'è l'esigenza di misure significative
per accrescere il potenziale di crescita»

La lettera TRADOTTA IN ITALIANO
«C'è l'esigenza di misure significative
per accrescere il potenziale di crescita»
Francoforte/Roma, 5 Agosto 2011
Caro Primo Ministro,
Il Consiglio direttivo della Banca centrale europea il 4 Agosto ha discusso la situazione nei mercati dei titoli di Stato italiani. Il Consiglio direttivo ritiene che sia necessaria un'azione pressante da parte delle autorità italiane per ristabilire la fiducia degli investitori.
Il vertice dei capi di Stato e di governo dell'area-euro del 21 luglio 2011 ha concluso che «tutti i Paesi dell'euro riaffermano solennemente la loro determinazione inflessibile a onorare in pieno la loro individuale firma sovrana e tutti i loro impegni per condizioni di bilancio sostenibili e per le riforme strutturali». Il Consiglio direttivo ritiene che l'Italia debba con urgenza rafforzare la reputazione della sua firma sovrana e il suo impegno alla sostenibilità di bilancio e alle riforme strutturali.
Il Governo italiano ha deciso di mirare al pareggio di bilancio nel 2014 e, a questo scopo, ha di recente introdotto un pacchetto di misure. Sono passi importanti, ma non sufficienti.
Nell'attuale situazione, riteniamo essenziali le seguenti misure:
1.Vediamo l'esigenza di misure significative per accrescere il potenziale di crescita. Alcune decisioni recenti prese dal Governo si muovono in questa direzione; altre misure sono in discussione con le parti sociali. Tuttavia, occorre fare di più ed è cruciale muovere in questa direzione con decisione. Le sfide principali sono l'aumento della concorrenza, particolarmente nei servizi, il miglioramento della qualità dei servizi pubblici e il ridisegno di sistemi regolatori e fiscali che siano più adatti a sostenere la competitività delle imprese e l'efficienza del mercato del lavoro.
a) È necessaria una complessiva, radicale e credibile strategia di riforme, inclusa la piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali e dei servizi professionali. Questo dovrebbe applicarsi in particolare alla fornitura di servizi locali attraverso privatizzazioni su larga scala.
b) C'è anche l'esigenza di riformare ulteriormente il sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi al livello d'impresa in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende e rendendo questi accordi più rilevanti rispetto ad altri livelli di negoziazione. L'accordo del 28 Giugno tra le principali sigle sindacali e le associazioni industriali si muove in questa direzione.
c) Dovrebbe essere adottata una accurata revisione delle norme che regolano l'assunzione e il licenziamento dei dipendenti, stabilendo un sistema di assicurazione dalla disoccupazione e un insieme di politiche attive per il mercato del lavoro che siano in grado di facilitare la riallocazione delle risorse verso le aziende e verso i settori più competitivi.
2.Il Governo ha l'esigenza di assumere misure immediate e decise per assicurare la sostenibilità delle finanze pubbliche.
a) Ulteriori misure di correzione del bilancio sono necessarie. Riteniamo essenziale per le autorità italiane di anticipare di almeno un anno il calendario di entrata in vigore delle misure adottate nel pacchetto del luglio 2011. L'obiettivo dovrebbe essere un deficit migliore di quanto previsto fin qui nel 2011, un fabbisogno netto dell'1% nel 2012 e un bilancio in pareggio nel 2013, principalmente attraverso tagli di spesa. È possibile intervenire ulteriormente nel sistema pensionistico, rendendo più rigorosi i criteri di idoneità per le pensioni di anzianità e riportando l'età del ritiro delle donne nel settore privato rapidamente in linea con quella stabilita per il settore pubblico, così ottenendo dei risparmi già nel 2012. Inoltre, il Governo dovrebbe valutare una riduzione significativa dei costi del pubblico impiego, rafforzando le regole per il turnover (il ricambio, ndr) e, se necessario, riducendo gli stipendi.
b) Andrebbe introdotta una clausola di riduzione automatica del deficit che specifichi che qualunque scostamento dagli obiettivi di deficit sarà compensato automaticamente con tagli orizzontali sulle spese discrezionali.
c) Andrebbero messi sotto stretto controllo l'assunzione di indebitamento, anche commerciale, e le spese delle autorità regionali e locali, in linea con i principi della riforma in corso delle relazioni fiscali fra i vari livelli di governo.
Vista la gravità dell'attuale situazione sui mercati finanziari, consideriamo cruciale che tutte le azioni elencate nelle suddette sezioni 1 e 2 siano prese il prima possibile per decreto legge, seguito da ratifica parlamentare entro la fine di Settembre 2011. Sarebbe appropriata anche una riforma costituzionale che renda più stringenti le regole di bilancio.
3. Incoraggiamo inoltre il Governo a prendere immediatamente misure per garantire una revisione dell'amministrazione pubblica allo scopo di migliorare l'efficienza amministrativa e la capacità di assecondare le esigenze delle imprese. Negli organismi pubblici dovrebbe diventare sistematico l'uso di indicatori di performance (soprattutto nei sistemi sanitario, giudiziario e dell'istruzione). C'è l'esigenza di un forte impegno ad abolire o a fondere alcuni strati amministrativi intermedi (come le Province). Andrebbero rafforzate le azioni mirate a sfruttare le economie di scala nei servizi pubblici locali.
Confidiamo che il Governo assumerà le azioni appropriate.
Con la migliore considerazione,
Mario Draghi, Jean-Claude Trichet

FONTE:http://www.corriere.it/economia/11_settembre_29/trichet_draghi_italiano_405e2be2-ea59-11e0-ae06-4da866778017.shtml

Quello che la BCE ci ha raccomandato per non affondare..

Si può negare l'evidenza di fatti che anche chi non amministra il paese italia nota in maniera eclatante?


Ora lo leggiamo nero su bianco nella lettera che la Banca centrale europe ha inviato all'Italia. Una lettera spedita in agosto e resa nota dal Corriere della Sera solo oggi, giovedì 29 settembre. Notiamo con piacere che le misure contenute nei dodici punti sono molto, molto simili a quelle che da tempo invoca Libero: abolizione dei privilegi della casta, riforma del lavoro, un piano di liberalizzazioni, il taglio di province ed enti inutili e via dicendo. Seguono tutti i punti della lettera firmata in calce dal tandem Jean-Claude Trichet (presidente dell'Eurotower) e Mario Draghi (attuale numero uno di Bankitalia e successore designato e nominato di Trichet alla guida della Bce).


Leggi tutti i punti - Ecco di seguito i punti che Jean Claude Trichet e Mario Draghi hanno indicato lo scorso 5 agosto "con decreto legge e con ratifica parlamentare entro la fine di settembre 2011"e che il Governo italiano ha recepito con il decreto legge di agosto, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale lo scorso 16 settembre:


1) Pareggio di bilancio.  "Il pareggio di bilancio nel 2014 non è sufficiente. Riteniamo essenziale per le autorità italiane di anticipare di almeno un anno il calendario di entrata in vigore delle misure adottate nel pacchetto del luglio 2011. L'obiettivo dovrebbe essere un deficit migliore di quanto previsto fin qui nel 2011, un fabbisogno netto dell’1% nel 2012 ed un bilancio in pareggio nel 2013, principalmente attraverso tagli di spesa";


2) Sistema pensionistico. "E' possibile intervenire ulteriormente nel sistema pensionistico, rendendo più rigori i criteri di idoneità per le pensioni di anzianità e riportando l'età del ritiro delle donne nel settore privato rapidamente in linea con quella stabilita per il settroe pubblico, così ottenendo dei risparmi già nel 2012";


3) Pubblico impiego. Andrebbe valutata una riduzione dei costi del pubblico impiego, "rafforzando le regole per il turn over e, se necessario, riducendo gli stipendi";


 4) Contrattazione collettiva. C'è l'esigenza di riformare ulteriormente il sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi al livello d'impresa in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende e "rendendo questi accordi più rilevanti rispetto ad altri livelli di negoziazione. L'accordo del 28 giugno tra le principali sigle sindacali e le associazioni industriali si muove in questa direzione";


5) Licenziamenti e assunzioni. Dovrebbe essere adottata "una accurata revisione delle norme che regolano l’assunzione ed il licenziamento dei dipendenti, stabilendo un sistema di assicurazione dalla disoccupazione ed un insieme di politiche attive per il mercato del lavoro che siano in grado di facilitare la riallocazione delle risorse verso le aziende e verso i settori più competitivi".


6)Liberalizzazioni. E' necessaria la piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali e dei servizi professionali. "Questo dovrebbe applicarsi in particolare alla fornitura di servizi locali attraverso privatizzazioni su larga scala";


7) Deficit. Andrebbe introdotta una clausola di riduzione automatica del deficit che specifichi che qualunque scostamento dagli obiettivi del deficit sarà compensato automaticamente con tagli orizzontali sulle spese discrezionali;


8) Debito. Andrebbero messi "sotto stretto controllo" l'assunzione di indebitamento, anche commerciale, e le spese delle autorità regionali e locali, in linea con i principi della riforma in corso delle relazioni fiscali fra i vari livelli di governo;


9) Pareggio di bilancio in Costituazione. Sarebbe appropriata anche una riforma costituzionale che renda più stringenti le regole di bilancio;


10) Indicatori.  Negli organismi pubblici dovrebbe diventare sistematico l'uso di indicatori di performance (soprattutto nei sistemi sanitario, giudiziario e dell’istruzione);


11) Abolizione delle provincie. C'è l'esigenza di un forte impegno ad abolire o a fondere alcuni strati amministrativi intermedi (come le province);


12) Economie di scala. Andrebbero rafforzate le azioni mirate a sfruttare le economie di scala nei servizi pubblici locali. Trichet e Draghi concludono così la lettera a Berlusconi: "Confidiamo che il Governo assumerà le azioni appropriate. Con la migliore considerazione. Jean Claude Trichet e Mario Draghi".

FONTE:http://www.libero-news.it/news/833027/La-lettera-segreta-della-Bce-le-richieste-di-Draghi-Trichet.html

PALLIWOOD..

costruire una realtà IRREALE per far sembrare cio che non è..

MEDIO ORIENTE

Yemen, ucciso Awlaqi,
era tra i possibili successori Bin Laden

Il ministero non ha precisato le circostanze della morte, ma dalle prime informazioni pare che il leader terrorista, che aveva doppia cittadinanza americano-yemenita, sia rimasto vittima di un raid aereo.

SAN'A - È stato ucciso l'imam radicale Anwar al-Awlaqi, legato ad Al Qaeda e ricercato dagli Stati Uniti. Lo ha annunciato il ministero della difesa yemenita. Awlaqi, che aveva doppia cittadinanza americano-yemenita, era stato citato tra i papabili alla guida della rete terroristica dopo la morte di Osama Bin Laden. "Il leader terrorista di Al Qaeda, Anwar al Awlaqi, è stato ucciso assieme a dei membri dell'organizzazione che si trovavano con lui", ha precisato un portavoce del ministero, citato dalla tv di stato.

Il ministero non ha precisato le circostanze della morte di Awlaqi, ma secondo alcune fonte tribali, il leader terrorista, che era uno dei tre "most wanted" della Cia, perché considerato uno dei responsabili di alcuni attentati, come quello alla base militare americana di Fort Hood, in Texas o del tentativo di attacco su un aereo nel Natale 2009 o ancora del fallito attentato a Times Square a New York, sarebbe morto in un raid aereo lanciato alle prime ore di oggi contro due veicoli che viaggiavano tra il Maarib, a est della capitale San'a, e Jouf, provincia desertica vicina all'Arabia Saudita.

Al Awlaki, nato negli Usa 40 anni fa, figlio di un ex ministro dell'Agricoltura yemenita, è stato il primo cittadino statunitense nella storia ad essere inserito nella lista degli obiettivi della Cia e compare anche nella lista nera dell'Onu di personalità considerate legate ad Al Qaida. Dall'11 settembre fonti dei servizi segreti occidentali citati dalla stampa americana lo hanno
indicato come ispiratore di numerosi attentati.

Il leader torrorista ha predicato in numerose moschee americane e ha lavorato in un'associazione di beneficenza legata all'imam radicale yemenita Abdel Majid Zendani, accusato da Washington di essere coinvolto in attività di "gruppi terroristici". Nel 2006 è ritornato nello Yemen, dove è stato detenuto alcuni mesi per il suo coinvolgimento nel sequestro del figlio di un ricco cittadino yemenita, attraverso il quale avrebbe voluto "finanziare al Qaida". Nel 2008 fu rilasciato con la condizione di rimanere a San'a e presentarsi in commissariato ogni giorno. Dopo alcuni mesi, però, fuggì dalla capitale e si rifugiò nella regione di Shabwa.

Il 7 aprile scorso, un responsabile dell'amministrazione Usa ha confermato che Barack Obama aveva dato il via libera alla sua eliminazione. Esattamente un mese dopo, e a quattro giorni dall'uccisione di Osama bin Laden, Awlaqi riuscì a scampare a un raid statunitense nel sud dello Yemen. La vettura sulla quale viaggiava fu lievemente colpita da un missile lanciato da un drone americano, ma l'imam radicale e i suoi accompagnatori furono capaci di mettersi in fuga con un'altra automobile.
 
(30 settembre 2011)
FONTE:http://www.repubblica.it/esteri/2011/09/30/news/yemen_ucciso_awlaqi_era_tra_i_possibili_successori_bin_laden-22461348/?rss

giovedì 29 settembre 2011

7.09.2011 Sequestro dell'Achille Lauro: 'Custodiremo i terroristi'. La bugia di Craxi a Reagan
Cronaca di Maurizio Molinari, Paolo Mastrolilli

Testata: La Stampa
Data: 27 settembre 2011
Pagina: 13
Autore: Maurizio Molinari - Paolo Mastrolilli
Titolo: «'Custodiremo i terroristi'. La bugia di Craxi a Reagan»
Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 27/09/2011, a pag. 13, l'articolo di Maurizio Molinari e Paolo Mastrolilli dal titolo " 'Custodiremo i terroristi'. La bugia di Craxi a Reagan".

Maurizio Molinari, Leon Klinghoffer, Bettino Craxi con Yasser Arafat

Bettino Craxi mentì a Ronald Reagan nella telefonata di 20 minuti durante la crisi di Sigonella perché si impegnò a tenere sotto custodia in Italia tutti i palestinesi coinvolti nel sequestro dell’Achille Lauro mentre due giorni dopo consentì ad Abu Abbas, regista dell’operazione, di partire da Roma per Belgrado.

A descrivere lo sgambetto del presidente del Consiglio italiano al presidente degli Stati Uniti è la ricostruzione della crisi dell’Achille Lauro contenuta in 95 documenti del Dipartimento di Stato di cui «La Stampa» è entrata in possesso nel rispetto delle leggi federali. L’Achille Lauro è la nave da crociera italiana che il 7 ottobre 1985 viene presa in ostaggio nelle acque egiziane da una commando di 4 terroristi del Fronte di liberazione della Palestina, che uccidono a largo della Siria il passeggero ebreo americano paraplegico Leon Klinghoffer buttandolo in mare. Quindi tentano invano di incassare la liberazione di 50 loro compagni detenuti in Israele, tornando in Egitto, dove il presidente Hosni Mubarak ottiene il rilascio di nave e passeggeri garantendogli il salvacondotto verso la Tunisia. Ma l’aereo di linea egiziano che, il 10 ottobre, li sta portando verso Tunisi - dove ha sede l’Olp di Yasser Arafat - viene intercettato dai jet Usa che lo obbligano ad atterrare nella base di Sigonella, in Sicilia, dove a notte inoltrata gli uomini della Delta Force del generale Carl Steiner sono sulla pista per catturare il commando. Ad impedirglielo sono militari italiani dando vita ad un braccio di ferro fra alleati risolto dalla telefonata CraxiReagan.

Mentre i due leader si parlano l’aereo egiziano è circondato da due cerchi di militari, con gli italiani che impediscono agli americani di avvicinarsi, e all’interno vi sono, oltre ai piloti, sei palestinesi: i 4 sequestratori Bassam al-Asker, Ahmad Marrouf alAssadi, Youssef Majed al-Molqi e Ibrahim Fatayer Abdelatif accompagnati da Abu Abbas e Zulid Al-Qudra, entrambi nella veste di rappresentanti dell’Olp. Gli americani ritengono che Abu Abbas, leader del Fronte di liberazione della Palestina, sia la mente del sequestro, avendolo pianificato e guidato a distanza parlando via radio con il commando.

Nella telefonata fra Reagan e Craxi si confrontano opposte esigenze: il primo vuole catturare esecutori e mandanti di un atto terroristico e dell’assassinio di un americano, mentre il secondo è intenzionato a difendere la sovranità nazionale su Sigonella, che impone all’Italia di prendere in consegna il commando, e far rispettare il patto con i palestinesi grazie al quale Mubarak ha ottenuto il rilascio dell’Achille Lauro.

A descrivere i contenuti della conversazione è il telegramma che l’11 ottobre il Segretario di Stato americano George Shultz invia all’ambasciatore a Roma Maxwell Rabb, il cui titolo è «Reagan/Craxi Understanding on the Achille Lauro Terrorists» (Intesa Reagan-Craxi sui terroristi dell’Achille Lauro). «Durante una conversazione durata 20 minuti ed avvenuta al termine del 10 ottobre, il presidente ha chiesto aiuto a Craxi per consentire che i terroristi atterrati a Sigonella possano essere trasportati negli Stati Uniti per essere sottoposti alla legge» scrive Schultz, sottolineando che «Craxi ha spiegato che la legge italiana non gli permette di dare tale consenso, poiché il crimine è avvenuto su una nave italiana, ovvero su territorio italiano, e l’Italia è legalmente competente» aggiungendo che «il popolo italiano non comprenderebbe mai una tale rinuncia alla sovranità». Di fronte a tali resistenze di Craxi, la reazione di Reagan è non sollevare obiezioni né tantomeno insistenze nella difesa della legittimità del blitz della Delta Force, mentre è ancora in corso. Reagan rinuncia all’opzione militare per seguire Craxi nella scelta di un approccio giuridico, ma rilancia. «Il presidente ha proposto a Craxi di trasmettere una urgente richiesta di estradizione e Craxi ha detto che sarebbe una buona soluzione perché potrà mettere la questione nelle mani dei competenti organi italiani, i tribunali», scrive Shultz nel telegramma, aggiungendo che Craxi assicura che «l’Italia nel frattempo imprigionerà i terroristi in attesa degli sviluppi legali». «E’ stato concordato che la richiesta di estradizione sarà relativa ai quattro sequestratori dell’Achille Lauro e che l’Italia (con l’assistenza americana) formulerà le accuse contro gli altri due al fine di processarli» sottolinea Shultz, specificando che «Craxi ha accettato di trattenere tutti e sei - ripeto sei - i palestinesi e il presidente si aspetta che il governo italiano lo faccia».

Se Shultz manda a Rabb questo telegramma la mattina dell’11 ottobre è perché sul terreno sta avvenendo il contrario di quanto Craxi ha promesso a Reagan: se infatti i quattro sequestratori sono stati presi in consegna dalla magistratura, l’aereo egiziano il 12 ottobre vola da Sigonella a Ciampino e da lì a Fiumicino dove Abu Abbas scende a terra per imbarcarsi su un volo di linea della Tanjug con destinazione Belgrado, assieme all’altro rappresentante dell’Olp.

Nel tentativo di far rispettare all’Italia la parola data da Craxi la mattina dell’11 ottobre, subito dopo aver ricevuto il telegramma da Shultz, l’ambasciatore Rabb telefona al ministro dell’Interno, Oscar Luigi Scalfaro. A descrivere quanto si dicono è il telegramma che l’ambasciata Usa invia a Shultz quel pomeriggio. «L’ambasciatore ha telefonato a Scalfaro, che ha assicurato di occuparsi della vicenda. Scalfaro ha detto che i quattro sequestratori saranno trattati in base alla legge italiana mentre riguardo agli altri due palestinesi ancora a bordo dell’aereo egiziano ha parlato con Craxi, che gli ha assicurato nei termini più decisi che manterrà l’impegno preso con il presidente Reagan di tenerli sotto custodia. Non saranno in stato d’arresto, ma non gli sarà consentito di partire». A sollevare obiezioni sulla detenzione dei «due palestinesi» è invece Vincenzo Parisi, capo dei servizi italiani, «secondo cui non ci sono basi legali per detenerli». Ma gli americani si sentono garantiti da Scalfaro, come si evince dal telegramma: «Non abbiamo mai avuto dubbi sull’atteggiamento di Scalfaro sul terrorismo e sull’importanza che assegna a mantenere una stretta collaborazione con gli Stati Uniti, come dimostrano le sue critiche al ministro degli Esteri Giulio Andreotti che ha paragonato il raid israeliano su Tunisi (del 1˚ ottobre, ndr) ad un massacro nazista».

Le assicurazioni di Scalfaro tuttavia, al pari degli impegni di Craxi, si trasformano in una beffa quando i due palestinesi il 12 ottobre lasciano l’Italia. E’ Michael Armacost, sottosegretario di Stato per gli Affari Politici, che firma il telegramma di poche righe datato 12 ottobre su quanto avvenuto: «I due palestinesi hanno lasciato l’Italia per la Jugoslavia a metà pomeriggio, anche se avevamo chiesto al governo italiano di detenere uno di loro, Abu Abbas, in attesa della richiesta di estradizione». Poco prima del decollo dell’aereo della Tajug, Armacost ha tentato un’ultima carta, chiedendo a Rabb di recapitare all’Italia una «immediata richiesta di arresto provvisorio di Abu Abbas sulla base del Trattato di estradizione Usa-Italia del 13 ottobre 1983, entrato in vigore il 24 settembre 1984», in ragione della «partecipazione di Abu Abbas al piano per il sequestro della Achille Lauro». Ma Craxi ha già deciso di non rispettare l’impegno con Reagan e così, il 13 ottobre, Armacost scrive a Roma traendo le conclusioni: «Il governo degli Stati Uniti è stupito dalla violazione di ogni ragionevole standard legale da parte dell’Italia ed è profondamente deluso» da quanto avvenuto.

L’irritazione americana ha un’immediata conseguenza politica a Roma dove il 16 ottobre il Pri di Giovanni Spadolini ritira la delegazione dei propri ministridal governo Craxi in segno di protesta per aver fatto fuggire Abu Abbas. Ne scaturisce una crisi di governo che rientra il 6 novembre quando i ministri dimissionari tornano nell’esecutivo, sulla base della promessa di Craxi di un approccio più bilanciato sul Medio Oriente. Ottenuta la fiducia dalla Camera, Craxi però rilancia la sfida all’America - e a Israele - con un intervento in cui paragona Yasser Arafat a Giuseppe Mazzini, confermando che dietro la scelta di far fuggire Abbas c’è in realtà la scelta di sfruttare la crisi di Sigonella per trasformare l’Italia in un alleato dei palestinesi.

mercoledì 28 settembre 2011

28.09.2011 Fin dove arriva la follia del multiculturalismo in Svizzera
commento di Fiamma Nirenstein

Testata: Il Giornale
Data: 28 settembre 2011
Pagina: 13
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «E ora i musulmani attaccano la croce sulla bandiera svizzera»
Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 28/09/2011, a pag. 13, l'articolo di Fiamma Nirenstein dal titolo 
"E ora i musulmani attaccano la croce sulla bandiera svizzera".

Fiamma Nirenstein, la bandiera della Svizzera, Ivica Petrusic

Sta per partire una grande campagna della lobby musulmana immigrata in Svizzera che conta ormai il 5 per cento della popolazione, 400mila immigrati, per cancellare il brand storico di quel Paese, la croce sulla bandiera. Quel simbolo offende il multiculturalismo, dice Ivica Petrusic, presidente di Second@plus, una lobby di stranieri di seconda generazione. Propone una bandiera con i colori verde rosso e giallo della repubblica elvetica del 1799, e fa notare che «somiglia a quella della Bolivia e del Ghana. Rappresenterebbe una Svizzera più progressista e aperta». Boh, intanto genitori musulmani hanno ottenuto da un tribunale che i loro bambini frequentino le lezioni in «burkinis», un costume che copre tutto il corpo, e le donne cercano di andare in tutti i luoghi di lavoro col loro hijab. Ma la Svizzera combatte per la sua identità: un gruppo di supermarket ha osato proibire il hijab al lavoro, sollevando grandi onde; il segretario della comunità di Basilea è stato condannato per incitamento alla violenza quando ha detto in tv che le donne secondo la Sharia vanno picchiate quando sono indisciplinate. Una donna di 66 anni a Berna ha preso (solo) tre anni e sei mesi per aver incoraggiato il padre e i fratelli di sua nuora a ucciderla per motivi d’onore. Ed è noto che la Svizzera rifiutò con un referendum la costruzione dei minareti, 57,5 per cento del voto contro il 42,5. Ecco che avanza la grande battaglia per la bandiera: conserverà la sua croce? Anche sul temperino rosso, mi raccomando.
www.fiammanirenstein.com
8.09.2011 179 a 14, questo è il problema
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

Testata: Informazione Corretta
Data: 28 settembre 2011
Pagina: 1
Autore: Ugo Volli
Titolo: «179 a 14, questo è il problema»


Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
179 a 14, questo è il problema







Cari amici, vi dice qualcosa questo elenco: Australia, Austria, Bulgaria, Canada, Francia, Germania, Gran Bretagna, Israele, Italia, Nuova Zelanda, Olanda, Polonia, Repubblica Ceca, Stati Uniti ? No? Be' sono i 14 paesi che hanno boicottato la conferenza "Durban 3" organizzata dal comitato dei diritti umani dell'Onu nel decennale della Conferenza di Durban. I paesi che hanno aderito invece sono 179, comprese alcune democrazie occidentali come Spagna, Portogallo, Svizzera, Belgio Svezia, Grecia, Finlandia, Norvegia; e naturalmente i più grandi stati del mondo come Cina, India, Russia, Brasile, tutto il mondo islamico, tutta l'Africa e l'America latina (http://www.israelhayom.com/site/newsletter_opinion.php?id=554).

Vi voglio ricordare che la Commissione per i diritti umani dell'Onu era presieduta fino a qualche mese fa dalla Libia (che poi ha avuto qualche problemuccio), ha (o ha avuto prima che uscissero per turno) come suoi autorevoli esponenti l'Iran, Cuba, Siria, l'Arabia Saudita, il Sudan eccetera eccetera. Il suo tempo è dedicato naturalmente non a occuparsi dei posti in cui non si vota, le opinioni dissenzienti sono punite con morte torture, prigione a vita, le donne non possono guidare, andare in giro da sole e se fanno vedere una ciocca di capelli sono condannate alla frusta, gli omosessuali sono impiccati, i partiti sono proibiti, il culto del capo è obbligatorio, Internet e i giornali sono pesantemente censurati, i manifestanti sono sistematicamente ammazzati. No, la Commissione ha dedicato il 90 per cento delle sue energie e naturalmente delle sue deliberazioni di condanna a quell'abominio dell'umanità che si chiama Israele.

Vi ricordo anche che la conferenza di Durban, che questa ricorda, fu in sostanza un delirio antisemita, non solo la condanna di Israele servita in tutte le salse, ma anche la caccia all'uomo (intesa in senso letterale, fisico) dei militanti di Ong israeliane, la dichiarazione che la causa di tutti i mali del mondo e la fonte di ogni razzismo fosse il sionismo. E in senso più ampio, l'Occidente. Fu l'equivalente diplomatico, a pochissimi giorni di distanza, dell'attacco alle Twin Towers. Le cose andarono in maniera tale che tutti i paesi occidentali furono costretti a ritirare le loro delegazioni. Lo stesso accadde tre anni fa per Durban 2, che doveva rinnovarne i fasti e finì fra gli insulti di Ahmadinejad agli ebrei e all'America; e oggi si rinnova, come un serial killer che non riesce a evitare di moltiplicare i propri gesti di morte, a New York. E' degno di nota che i media ne parlino sempre meno, tanto è squalificata l'etichetta.

E però la Conferenza si svolge lo stesso e il risultato è quello che vi ho detto: 179 a 14. E' un risultato su cui vale la pena di riflettere, perché non riguarda un punto politico, come il voto sullo "stato palestinese" che prima o poi avverrà all'Assemblea Generale dell'Onu – e probabilmente finirà peggio. Qui sono in gioco dei principi, in particolare diciamo l'ostracizzazione universale e di principio di Israele, la condanna senza appello di sionismo, ebraismo, democrazia occidentale. I rapporti di forza, se non proprio militari almeno diplomatici, oggi sono questi. Sarebbe interessante discutere sulla ragione per cui a un successo sostanziale delle tecnologie, dei modi di vivere, della cultura di massa, del linguaggio politico dell'Occidente, poco dopo il trionfo della fine del comunismo, corrisponda una tale perdita di influenza. Non posso parlarne qui. Vorrei solo indicarvi che all'esportazione della democrazia, vagheggiata dieci anni fa dall'America migliore, è succeduta la sua falsificazione da parte delle forze che le sono nemiche (neocomunismo, terzomondismo, caudillismo, islamismo), lo scippo del suo linguaggio e dei suoi concetti ("diritti umani" ecc.) la loro falsificazione sistematica verso il loro opposto. Una tragedia del pensiero

Sul piano pratico, bisogna capire però che su molti temi, il primo dei quali è la sopravvivenza di Israele e della democrazia occidentale, che sono strettamente legati, molto più di quel che sembra, i rapporti di forza sono questi: 14 a 179, con una buona dose di transfughi, che credono di stare meglio piegandosi al vento dell'odio. Questo dato fa apprezzare il miracolo della sopravvivenza di Israele, l'intelligenza e la bravura della sua politica, il percorso difficilissimo che il paese (e in generale l'Occidente) ha davanti, la necessità del massimo impegno da parte di tutti noi.

Ugo Volli

PS: A tutti i miei lettori ebrei, e naturalmente anche agli altri che sono meno coinvolti, auguro buon anno, o come si dice in ebraico Shanà Tovà uMetukà, un anno buono e dolce. Questa sera infatti inizia l'anno ebraico 5772. A ciascuno auguro buone cose, un anno come vuole lui. E a tutti noi un anno che rovesci le angosce che ci attanagliano, diciamo un anno in cui non ci sia più il bisogno di scrivere cartoline come questa, in cui tutti possiamo occuparci di cose costruttive e positive. Speriamo e lavoriamo per questo. 

http://www.informazionecorretta.it/main.php?sez=90

sabato 24 settembre 2011

Il tetto alla spesa che salva i conti (e il paese)

Nella proposta di riforma della Costituzione presentata da Nicola Rossi e da altri senatori, appartenenti a forze politiche sia di opposizione che di maggioranza, il vincolo del pareggio di bilancio è opportunamente affiancato da un tetto alla spesa pubblica complessiva, stabilito al 45% del Pil. Poichè nel 45% è inclusa la spesa per interessi sul debito, che negli ultimi anni ha oscillato tra il 4,5 e il 5%, il tetto proposto da Nicola Rossi sarebbe stato rispettato con una spesa pubblica primaria (al netto quindi della spesa per interessi) pari al 40-40,5% del Pil. Si tratta di valori molti inferiori a quelli effettivi del decennio 2000 ma in linea con quanto verificatosi per tutta la seconda metà degli anni ’90.
Nei sei anni dal 1995 al 2000 la spesa pubblica primaria in rapporto al Pil è rimasta infatti costante al 41%, come si può osservare nel grafico sottostante, permettendo, data la dinamica delle entrate, il rispetto del vincolo di Maastricht del 3% e l’ammissione alla moneta unica (il dato 2000, inferiore al 41%, è in realtà conseguenza dell’inopportuna contabilizzazione delle entrate derivanti dalla gara per la cessione delle frequenze telefoniche come minori spese in conto capitale anzichè come maggiori entrate). Per evidenziare l’importanza del tetto alla spesa ho provato a fare il seguente esercizio: dove sarebbero ora i valori della nostra finanza pubblica se il tetto proposto da Rossi fosse stato rispettato per tutti gli anni 2000 sino all’emergere della recessione (perchè già in vigore o perchè accolto di fatto, come negli anni 1995-2000)? L’ipotesi è rappresentata dalla linea rossa nel grafico sottostante: la spesa pubblica primaria in rapporto al Pil è posta al 41% dal 2000 al 2007 mentre negli anni 2008-10 è lasciata crescere esattamente degli stessi ‘gradini’ che si sono verificati nella realtà (in deroga, data la recessione, al vincolo del 41%).

A questo punto è interessante provare a ricalcolare i saldi di finanza pubblica sostituendo la spesa primaria ipotizzata alla spesa primaria effettiva e ipotizzando, un pò semplicisticamente, invarianza delle entrate (il nostro è un esercizio contabile, con qualche semplificazione e limite, tuttavia in grado di darci un’idea del possibile scenario alternativo di finanza pubblica; ben diverso sarebbe invece l’utilizzo allo stesso fine di un modello econometrico dell’economia italiana). Ovviamente il risparmio sulla spesa pubblica primaria si traduce, a parità di entrate, in una minor crescita del debito pubblico la quale permette una minor spesa per interessi. Considerando anche la minor spesa per interessi, gli effetti sul rapporto tra indebitamento e Pil sono descritti dalla linea rossa nel grafico sottostante (rispetto alla linea blu che rappresenta invece i dati effettivi).
 
Nell’ipotesi di tetto alla spesa il disavanzo pubblico rispetto al Pil sarebbe stato del 2% circa nel 2001 e 2002 per poi scendere all’1% circa nel triennio 2003-2005 e trasformarsi in avanzo di bilancio nel triennio successivo. Con la recessione ritorna il disavanzo, tuttavia con valori che non superano mai il 3% di Maastricht. Ancora più interessante osservare la dinamica del debito pubblico nello scenario ‘contabile’ con tetto alla spesa, riportata nel grafico seguente.

In sintesi il debito pubblico in valore assoluto sarebbe stato sostanzialmente stabilizzato poco al di sotto dei 1400 miliardi, per superare tale valore, ma di poco, solo per effetto della crisi economica. A fine 2010 il minor debito pubblico accumulato è stimabile in circa 400 miliardi. In rapporto al Pil il debito avrebbe invece continuato a ridursi alla stessa velocità della seconda metà degli anni ’90 sino ad arrivare all’87% nel 2007 e 2008 per poi risalire al 93% nel 2009 e 2010 (anziché al 119% effettivo dell’ultimo anno, quindi attestandosi 26 punti percentuali al di sotto).

Il 93% nel rapporto Debito/Pil si colloca pur sempre dieci punti sopra quello di Francia e Germania, tuttavia è molto probabile che se avessimo registrato quel dato i mercati non si sarebbero preoccupati di noi e la storia di questi mesi (e quella dei prossimi anni) sarebbe stata molto differente. Bastava continuare a rispettare un tetto alla spesa pubblica che i governi della seconda metà degli anni ’90 avevano, senza porlo esplicitamente come vincolo, già rispettato senza grandi fatiche né manovre lacrime e sangue.
Postilla: si può obiettare che in presenza di una spesa primaria più contenuta una parte di essa sarebbe stata probabilmente utilizzata per allegerire la pressione fiscale anzichè integralmente destinata a ripianamento del disavanzo. D’acc0rdo ma in quel caso forse il Pil non sarebbe rimasto al palo e una crescita ‘normale’ avrebbe probabilmente compensato, almeno parzialmente, l’effetto  della riduzione delle aliquote sul gettito fiscale. Alla fine del periodo forse il debito non sarebbe sceso al 93% del Pil ma qualche punto sopra e in ogni caso molto al di sotto del 119% al quale è arrivato alla fine del 2010. Anche in questa ipotesi tanto l’attualità quanto il futuro prossimo non  sarebbero stati gli stessi.

FONTE:http://www.chicago-blog.it/2011/09/19/il-tetto-alla-spesa-che-salva-i-conti-e-il-paese/
Tasse, bamboccioni e sessantottari cronici

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Scritto da Lorenzo Matteoli   
  
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Non si può pretendere che i giovani ventenni abbiano una corretta e compiuta idea della macroeconomia e la cultura per capire i bilanci dello stato: nessuno glielo ha mai insegnato anche se dovrebbe essere un materia della scuola media o del liceo. Spiegata in modo semplice e chiaro, certo e non con le “equazioni alle differenze” e le relative derivate prime e seconde. Negli Stati Uniti, dove la scuola media produce soggetti capaci di concepire google, word, entourage,  l’i.pad, quicken etc., e le enormi plusvalenze post-capitalistiche che la e-economy ha innescato,  ma che noi riteniamo ignoranti rispetto ai sofisticati e alti criteri della cultura classica Europea, la materia è insegnata nella High School e si chiama “Social Studies”. I nostri giovani invece, pieni della sicumera e della arroganza saputa residuale dei loro padri sessantottari, invitati alla grande abbuffata della demagogia televisiva, strillano che del “debito dello Stato non glie ne può fregare di meno, perché non sono soldi che hanno preso loro, ma che sono serviti solo per arricchire la cricca…”. Questi ignoranti indignati e bercianti, che sono nati e vengono assistiti in ospedali pagati con il debito sovrano, che sono andati in asili nido pagati con il debito sovrano, che sono stati educati in scuole pagate con il debito sovrano, che viaggiano su autostrade pagate con il debito sovrano, che viaggiano in ferrovie pagate con il debito sovrano, che utilizzano una sanità pubblica pagata con il debito sovrano, che vanno in università pagate con il debito sovrano, riccamente attrezzate con computer pagati con il debito sovrano, e seguono corsi tenuti da professori pagati con il debito sovrano, che vivono in città che sono servite da municipalizzate pagate con il debito sovrano… è logico, si fa per dire, che non sappiano fare l’elementare collegamento. Così come non sanno collegare l’enorme debito sovrano alla sistematica patologica evasione fiscale che l’80% del loro babbi pratica felicemente da decenni. Ma che il collegamento logico e immediato non lo sappia fare il saputo e tronfio cronico sessantottaro terminale che conduce la trasmissione è molto più grave. Disgustoso inoltre sentirlo gracchiare servili e melensi elogi all’acutezza dell’analisi fatta dalla agitata, ignorante, indignata bambocciona.
Uno dei motivi, fra i tanti, che governano la patologica evasione fiscale in Italia è proprio la ignoranza civile del pubblico. Molti ritengono, o fanno finta di ritenere, che le tasse siano un furto e che sia giusto e doveroso evaderle e truffarle perché non si rendono conto, o fanno finta di non rendersi conto, che sono la base e la struttura fondamentale di una società civile e che pagarle è un comportamento fondamentale per chi appartiene con dignità a una società civile. Nella battuta di TPS (Tommaso Padoa Schioppa), scioccamente derisa allora,  che “è bello pagare le tasse” c’era una profonda verità e una onesta sensibilità civile sulla quale converrebbe riflettere. Non solo i bamboccioni…cioè voglio dire.

FONTE:http://www.legnostorto.com/index.php?option=com_content&task=view&id=32893

CHIACCHIERONI!



La conoscenza che si traduce effettivamente in pratica è quella che si ricava dall' AZIONE,molto più che da letture,conferenze o anche da ragionamenti.Ciò che conta è impegnarsi quanto più possibile in azioni BEN PONDERATE, SENZA SPRECARE TROPPO TEMPO a riflettere e a discutere sui problemi organizzativi. L'AZIONE PRODUCE ESPERIENZA, ed è DALLA ESPERIENZA che SI IMPARA

venerdì 23 settembre 2011


23.09.2011 Sarebbe più seria la proclamazione a stato sovrano di Disneyland
da Israele, Deborah Fait

Testata: Informazione Corretta
Data: 23 settembre 2011
Pagina: 1
Autore: Deborah Fait
Titolo: «Sarebbe più seria la proclamazione a stato sovrano di Disneyland»
Sarebbe più seria la proclamazione a stato sovrano di Disneylanddi Deborah Fait

Deborah Fait, Abu Mazen con Yasser Arafat

Molti anni fa, a Trento, organizzai una conferenza per dare un aiuto al popolo Curdo, nella triste occasione di un ennesimo attacco ai loro villaggi da parte dell'esercito turco. Migliaia di profughi e fuggiaschi sulle montagne, senza cibo, acqua, abbandonati nel freddo e nella neve di quei luoghi. Alla conferenza presero parte le numerose associazioni per la pace di cui pullula, credo ancora oggi, la cattolicissima Trento, membri della politica locale quasi tutti di sinistra o ex democristiani che poi è la stessa cosa.
Avevo invitato a parlare del suo Popolo un ragazzo curdo in esilio, studente a Venezia. Non ricordo purtroppo il suo nome ma ho ben impresso nella memoria il suo viso, i suoi occhi neri e tristi, il suo camminare un po' curvo in avanti quasi a volersi nascondere.
Presentai il ragazzo all'assemblea raccontando brevemente  la sua storia e poi gli diedi la parola.
Incominciò a parlare timidamente, raccontando degli attacchi  turchi alla sua gente, dei villaggi distrutti, della proibizione di parlare la lingua curda, di avere scuole curde, di esprimere l'anima curda, raccontò della situazione disperata del suo popolo, popolo antico e disperso in tre paesi che si erano divisi il Kurdistan: Iraq, Iran e Turchia.
Chi ascoltava non la smetteva di fare ohhh, ahhhh, io guardavo in giro e aspettavo quello che temevo sarebbe accaduto...conoscendo i polli, non miei, presenti in sala. Dopo tutti quegli ohhhh e ahhhh e " poveretti", prese la parola il presidente dell'assemblea esordendo "dobbiamo fare una raccolta di coperte, di cibo e vestiti, chi se ne incarica?". Che grande cuore, vero?
Bene, dopo l'alzata di mano di un paio di volontari cosa è successo?
Io scommetto che lo avete già indovinato! Ci scommetto quello che volete.
Cosa è successo? Hanno incominciato a parlare dei palestinesi, anzi dei poveri palestinesi, del cattivo Israele, di ‘sti ebrei del cavolo cui la Shoà non aveva insegnato niente e che stavano genocidiando il popolo palestinese. A quel punto sono scattata in piedi urlando"Questa è una conferenza sul Popolo curdo e l'avete liquidata in un quarto d'ora? Cosa c'entrano i palestinesi? Avete là al vostro tavolo un ragazzo in esilio che verrebbe ucciso se tornasse in patria, che tra l'altro non ha più perchè se la sono mangiata, la cui famiglia è stata sterminata e voi lo liquidate con due coperte e un pacco di riso? Non vi vergognate?" La risposta del moderatore è stata "Se non ti va bene puoi andartene".
Seguii il consiglio e, accompagnata da occhiate di ironico compatimento da parte del pubblico,  me ne andai fuori dove, dalla rabbia, dalla frustrazione, dal nervoso avrei fumato venti sigarette in una volta sola.
Dopo qualche minuto fui raggiunta dal ragazzo curdo che aveva le lacrime agli occhi."Hai capito cosa succede  in questo mondaccio cane? Di voi non frega niente a nessuno, mica sono gli ebrei che vi ammazzano, mica e' Israele che vi toglie ogni diritto civile. A questa gente interessa solo dei palestinesi  ma solo per un motivo, perché la loro controparte sono gli ebrei e Israele."
"la vostra sfiga, continuai , è che a voi vi maltrattano i turchi, gli iracheni, gli iraniani, quindi gli islamici, quindi è una sfiga che vi meritate perché l'islam non si tocca e voi potete crepare nell'indifferenza di tutti.
Vi danno due coperte e un pacco di riso o spaghetti, che magari non vi piacciono? Dite grazie e non rompete le scatole! Questo è il messaggio di questa assemblea, capito?"
Aveva capito molto bene e se ne andò ancora più curvo di quando era arrivato.
Oggi, dopo più di vent'anni , le cose non sono cambiate, tutti a dimostrare per la creazione di uno stato palestinese, anche i sinistri cretini di Israele. Uno stato palestinese rappresentato da un tizio che non ne ha il diritto da almeno tre anni perché finito il suo mandato, le cui credenziali sono state presentate all'ONU da una tizia madre di 7 figli di cui cinque sono in galera in Israele condannati a ergastoli che vanno dai duecento ai settecento anni per terrorismo.
Uno stato palestinese terrorista, rappresentato da un presidente decaduto, negazionista, complice di quel sordido uomo che era Arafat  e dalla madre orgogliosa di cinque assassini.
Ma che bella cosa!
Quale Nazione al mondo, oltre ad essere circondata da stati arabi che la vogliono distruggere, potrebbe accettare di avere a tre, cinque chilometri un confine con uno stato i cui cittadini saltellano di gioia per le strade ad ogni ebreo morto ammazzato dai loro pargoli?
Quale Nazione al mondo potrebbe accettare un fatto del genere, cedendo a un sedicente popolo territori conquistati dopo guerre di difesa e regalando a questo sedicente popolo che si bea davanti a un neonato ebreo sgozzato,  metà della propria Capitale?
Quale nazione?
Nessuna perché ogni paese del mondo vuole pace e sicurezza per poter vivere e prosperare.
Gli israeliani sono stati tanto bravi e coraggiosi da aver prosperato nonostante un guerra infinita iniziata ancora prima della  fondazione dello Stato Ebraico, un guerra divisa in tante battaglie per la nostra distruzione ma vinte tutte dal nostro esercito.
Una lunga guerra per farci mangiare sabbia e poi gettarci in mare e hanno perso sempre, sempre, urlavano "a morte Israele" e scappavano come conigli. Nasser diceva ai soldati egiziani "lasciate vive solo le belle donne, gli altri ammazzateli tutti" e poi, dopo aver perso due guerre con la speranza di riempire il suo harem di belle ebree da seviziare, gli e' venuto il coccolone per la gran rabbia e ha donato la sua sordida anima a Allah.
Lo stesso vale per Arafat e per tutti i capi e capetti arabi sbavanti odio. Hanno perso sempre e tutti contro Israele e adesso sto tizio  negazionista e ex terrorista di Abu Mazen, che non rappresenta nemmeno se stesso, va all'ONU per dichiarare l'esistenza dello Stato Palestinese?
Lo so che il mondo è con lui, lo so che c'è chi si scompiscia dalla voglia di vedere finalmente questa Palestina infilata come un pugno di ferro arrugginito nel fianco di Israele.
Lo so ma sarebbe più seria la proclamazione a stato sovrano di Disneyland.

http://www.informazionecorretta.it/main.php?sez=9

libertà di pensiero2

Siria: orrore per ragazza deapitata e smembrata

Amnesty: Catturata per indurre fratello attivista a consegnarsi

 
BEIRUT - Decapitata, smembrata, e scorticata: in queste condizioni le autorità siriane hanno riconsegnato alla famiglia il corpo di Zainab al Hosni, ragazza di 18 anni, prelevata dalla sua casa lo scorso luglio da uomini sospettati di essere membri dei servizi di sicurezza di Damasco. E' quanto afferma oggi Amnesty International, secondo cui la giovane, originaria di Homs, sarebbe stata arrestata per indurre suo fratello, Muhammad Dib al Hosni, 27 anni, uno degli organizzatori delle proteste anti-regime nella terza città siriana, a consegnarsi alle autorità. La notizia della consegna del corpo, fatto a pezzi, di Zainab, si era diffusa nei giorni scorsi a Homs e nel resto della Siria suscitando orrore. Le autorità dell'ospedale militare di Homs avrebbero comunicato alla famiglia di Zainab che la ragazza era stata rapita, uccisa e il suo corpo smembrato da non meglio precisate bande armate. La madre della giovane era stata convocata a fine agosto a ritirare quel che restava della salma del figlio Muhammad, arrestato pochi giorni prima, e anch'egli forse morto sotto tortura. In quell'occasione, la donna avrebbe trovato per caso anche il corpo della figlia.
Sulla salma del ragazzo - sempre secondo Amnesty International - erano evidenti i segni di tre fori di pallottole al petto, uno alla gamba destra, e un altro al braccio destro, di bruciature di sigarette su tutto il corpo e contusioni sulla schiena. Secondo l'organizzazione umanitaria internazionale basata a Londra, si tratta del quindicesimo caso di morte nelle carceri siriane solo ad agosto. Il 103/mo dall'inizio della repressione oltre sei mesi fa. Analogo orrore aveva suscitato lo scorso aprile la sorte di Hamza al Khatib, tredicenne siriano della regione meridionale di Daraa, il cui corpo era stato riconsegnato alla famiglia dai servizi di sicurezza governativi con evidenti segni di torture mostrati in alcuni filmati amatoriali, la cui autenticità era stata smentita dai media ufficiali di Damasco. Anche in quel caso, il regime siriano aveva attribuito la morte del piccolo Khatib a bande armate, che dopo averlo ucciso con colpi di arma da fuoco ne avevano martoriato il corpo. Più di recente, un altro caso di morte nel periodo di detenzione in Siria risale a due settimane fa: la salma del giovane attivista Ghiyath Matar, di Daraya, sobborgo di Damasco, era apparsa su numerosi video amatoriali che mostravano una lunga ferita, ricucita con vistosi punti di sutura, tra lo sterno e l'inguine. Alle condoglianze funebri in onore di Matar, si erano recati anche gli ambasciatori americano, francese, danese e giapponese in Siria, suscitando proteste di Damasco.

libertà di pensiero...

Gaza, Hamas vieta cortei pro Abu Mazen

Opposizione vuole festeggiare richiesta stato palestinese a Onu

 
Gaza, Hamas vieta cortei pro Abu Mazen (ANSA) - GAZA, 23 SET - Un clima di tensione si avverte a Gaza, a poche ore dal discorso con cui il presidente dell'Anp Abu Mazen chiedera' la piena adesione dello stato palestinese all'Onu.

Ritenendo questa iniziativa azzardata e ''pericolosa per gli interessi nazionali'', Hamas ha vietato lo svolgimento di qualsiasi manifestazione.

Tuttavia gruppi di oppositori si dicono determinati a festeggiare egualmente l'evento anche a rischio di doversi misurare con le forze di sicurezza di Hamas.

martedì 20 settembre 2011

L'Onu, i combattenti e i pensionaticartoline da Eurabia, di Ugo Volli
Come diceva Abba Eban, se il blocco arabo presentasse all'Onu una risoluzione per dichiarare che la terra è piatta e che la colpa di tale appiattimento è di Israele, dell'occupazione, del colonialismo sionista ecc. la proposta passerebbe più o meno con  164 paesi favorevoli, 13 contrari e 26 astensioni. L'Europa si dividerebbe (Italia e Polonia per il no, paesi nordici e Spagna per il sì, gli altri per lo più astenuti), Canada Stati Uniti e Australia voterebbero no. L'America latina in odio ai gringos, l'Africa per spirito anticolonialista, La Russia e la Cina nel ricordo della guerra fredda, i loro satelliti per compiacerli, per non parlare dei paesi islamici, non esiterebbero a dichiarare la piattezza del mondo, se la colpa è di Israele.

Lo stesso accadrà senz'altro se all'Assemblea generale si presenterà la richiesta di Muhammed Abbas di dichiarare lo "stato di Palestina", coi "confini del '67" e "Gerusalemme capitale". Che è una risoluzione altrettanto realistica di quella sulla terra piatta, visto che l'Autorità Palestinese non ha confini (non certo quelli cui aspira), non ha una moneta, non è capace di raccogliere le sue tasse, vive della carità internazionale, non controlla neppure tutto il territorio abbandonato da Israele, visto che Gaza fa quel che pare ad Hamas e il "presidente" Abbas non può mettervi piede né influenzare quel che vi si decide. E poi non ha una legittimità democratica, visto che tutti i suoi organismi elettivi sono scaduti da anni e non se ne prevede il rinnovo; non è in grado (e forse non ha la volontà) di impedire che il "suo" territorio funga base di partenza per il terrorismo. Insomma, non è proprio uno stato. (http://www.jpost.com/Magazine/Opinion/Article.aspx?id=238077).

Non solo  i palestinesi non hanno uno stato da "riconoscere" (si riconosce quel che c'è, non quel che si spera di fare), ma se si guardano le cose con un minimo di approfondimento, non ne costituiscono neppure la premessa, non sono una nazione, non sono un popolo, ma una pura entità propagandistica, costruita a freddo dalla propaganda mezzo secolo fa allo scopo di delegittimare Israele (http://www.jpost.com/Opinion/Columnists/Article.aspx?id=238146), e destinato, nelle parole stesse di Hamas, a non sussistere una volta "cacciati gli ebrei" ma a entrare nella "nazione araba" unificata. Se poi per caso potessero davvero fare uno stato, questo sarebbe, per dichiarazione e progetto della loro leadership, un incubo razzista judenrein, una costruzione da far invidia a Hitler (o forse al Muftì di Gerusalemme suo amico): http://blogs.jpost.com/content/%E2%80%98judenrein%E2%80%99-state-palestine. Inoltre, giusto per tener vivo il conflitto con Israele, anche dopo raggiunto l'obiettivo dello stato nei confini che vogliono loro, gli abitanti "palestinesi" dello stato della "Palestina", originari dai territori che costituiscono da sessant'anni lo Stato di Israele non sarebbero necessariamente cittadini, ma "rifugiati" o "profughi". Profughi palestinesi in Palestina? Incluso lo stesso Abu Mazen, che viene da Zfat? O magari anche la salma di Arafat, che è nato al Cairo? Ebbene sì, nel nome della teoria del salame (che si mangia a fette e l'appetito vien mangiando): http://elderofziyon.blogspot.com/2011/09/palestinian-arab-refugees-wouldnt-be.html.

Nonostante tutte le contorsioni dei loro portavoce sul perché i Palestinesi non potrebberoo riconoscere uno stato ebraico come chiede Israele per far partire le trattative (ma per loro gli israeliani devono riconoscere uno stato arabo e per di più Judenrein: http://www.haaretz.com/print-edition/opinion/why-palestinians-can-t-recognize-a-jewish-state-1.382091) è chiaro che il nuovo stato non sarebbe affatto in pace con i suoi vicini, in particolare con Israele, ma al contrario ne rivendicherebbe subito l'intero territorio. Dopo "i confini del '67" verrebbero le linee della risoluzione dell'Onu del '47, che gli Stati Arabi non accettarono aprendo una guerra di sterminio contro Israele invece che una trattativa di pace (http://www.winnipegjewishreview.com/article_detail.cfm?id=1417&sec=1&title=Palestinians_Push_for_1947_lines_%E2%80%93_not_1967_lines:Once_again,_the_UN_Partition_Plan_for_Palestine).

Insomma, un disastro. Il fatto è che il piano di Muhammed Abbas non ha alcuna possibilità di realizzarsi e rischia decisamente di danneggiare i palestinesi: http://www.washingtontimes.com/news/2011/sep/15/pyrrhic-palestinian-victory/?page=all#pagebreak). Perché una "follia" (http://www.telegraph.co.uk/comment/personal-view/8765733/The-folly-of-the-Palestinian-statehood-bid.html) del genere passerà all'assemblea generale dell'Onu, ce l'ha già spiegato Abba Eban. La terra è piatta, la "Palestina" è uno stato dentro confini che non controlla, il sionismo è razzismo, 2+2=3 (il quattro l'hanno rubato gli ebrei che come è noto sono avidi usurai): qualunque sciocchezza viene volentieri votata all'Onu purché contro Israele. 

Il problema è perché  la leadership palestinese voglia un provvedimento che per giudizio anche di molti suoi alleati non accecati dall'ideologia, la danneggerà moltissimo. Perché anzi Muhammad Abbas non intenda far ricorso all'assemblea generale, dove almeno sulla carta avrebbe soddisfazione, ma al consiglio di sicurezza dell'Onu, dove è sicuro di perdere grazie al veto americano - e lo sa benissimo. Per mostrare che gli Usa non sono neutrali? Per sbugiardarli e farli diventare più antipatici al mondo arabo di quanto già siano (molto)? La minuscola "Palestina che non c'è" si mette d'impegno contro il gigante americano, anzi contro il presidente più antisraeliano dai tempi di Carter (http://www.jpost.com/DiplomacyAndPolitics/Article.aspx?id=238308) ... che senso ha?  Io non credo che siano matti o masochisti. Certo, si parla della promessa di Erdogan di intervenire a colmare il buco di bilancio dell'Autorità Palestinese, se seguirà le sue posizioni avventuriste di scontro aperto contro Israele. Ma gli americani in cambio taglieranno, e la Turchia è anche lei sull'orlo della crisi economica. C'è un'altra ragione: è chiaro che Obama ha incoraggiato negli ultimi tre anni i peggiori azzardi palestinesi, che ormai sono abituati a ragionare con la logica del casinò, a raddoppiare la posta dopo ogni stop, e dopo aver sabotato le trattative con ogni pretesto gli si rivoltano contro, abituati a mordere chi li aiuta come certi animali.

Ma vi è qualcosa di più importante e profondo, sotto l'atteggiamento (auto)distruttivo dell'Autorità Palestinese, non solo nelle scelte di oggi di Abu Mazen ma anche in quelle di tre anni fa (quando il governo Olmert offrì loro condizioni di pace vicine a ciò che propone oggi Obama – e rifiutarono) e anche dieci anni fa di Arafat a Camp David, che rifiutò il 95% dei territori offerti da Barak e scatenò il terrorismo.

La ragione secondo me è questa. Non c'è nulla che i dirigenti di Al Fatah e di Hamas insieme temano di più della pace. Sono un gruppo di ex terroristi, che furono disgraziatamente riportati in Giudea e Samaria dal grande errore storico degli accordi di Oslo, tirandoli fuori dall'isolamento di Tunisi dov'erano finiti dopo aver suscitato disastri in Libano e in Giordania, facendosi odiare dalle popolazioni locali. Addestrati in Russia, come Abu Mazen, o eredi della tradizione nazista degli Husseini, come Arafat, non sono fatti per amministrare le città i i villaggi abitati dai palestinesi, non hanno ne voglia né competenza per fare i sindaci o i pianificatori urbani. Preferiscono l'esplosivo, se non quello degli attentati, almeno quello delle dichiarazioni, al riciclaggio delle acque e alla costruzione delle strade. Infatti non l'hanno mai fatto, chi ha messo un po' d'ordine negli affari palestinesi è quel Fayad che disprezzano perché non è mai stato terrorista, perché si è formato nelle università americane (di secondo piano, ma sempre americane) e non nelle prigioni israeliane.

Se scoppiasse la pace, resterebbero disoccupati, peggio, inutili.  Peggio ancora: criminali le cui stragi o almeno le ruberie verrebbero presto alla luce. Per questo fanno il possibile per evitare il rischio della normalità, il riconoscimento reciproco, la sicurezza comune. Il veto Usa, proclamano minacciosi, ma in fondo sollevati, distruggerà la soluzione dei due stati (http://www.jpost.com/DiplomacyAndPolitics/Article.aspx?id=238310). Meglio perdere e  restare per sempre "combattenti" (diciamo le cose come stanno: terroristi), che vincere e passare a assessori al turismo, a pensionati (o piuttosto a indagati).


FONTE:http://www.informazionecorretta.it/main.php?mediaId=115&sez=120&id=41483

mercoledì 14 settembre 2011

Questo bebé è UN MOSTRO!


L’elefante Italia e il suo baldacchino

Prima della serie di manovre estive di finanza pubblica la nostra economia era nei guai, dopo lo è molto di più:
  1. A seguito della crisi di fiducia sul debito pubblico il governo si è impegnato a conseguire il pareggio di bilancio nel 2013, colmando in un biennio circa quattro punti di Pil di disavanzo pubblico;
  2. L’operazione si verifica quasi integralmente attraverso aumenti di tasse.
  3. Conteggiando solo gli incrementi palesi delle imposte (e lasciando fuori gli aumenti dei tributi locali che saranno attuati per compensare i tagli nei trasferimenti dal governo centrale) la pressione fiscale, calcolata come rapporto tra il gettito atteso e il Pil, aumenterebbe di due punti percentuali.
  4. Calcolata invece come rapporto tra il gettito atteso e il solo Pil emerso, che il Centro Studi Confindustria stima nell’80% del Pil totale, aumenterebbe di due punti percentuali e mezzo passando dal 53% al 55,5%.
  5. Nessun paese al mondo ha una pressione fiscale così elevata, neppure i paesi scandinavi caratterizzati dai sistemi di welfare più estesi.
  6. Le entrate totali del settore pubblico arriverebbero, secondo le stime di Tito Boeri, al 49% del Pil nel 2014. Se rapportate al solo Pil emerso arriverebbero invece al 61% (sempre ipotizzando, irrealisticamente, che gli enti territoriali facciano fronte ai tagli dal governo centrale senza alcun incremento dei tributi locali).
Non servono grandi riflessioni aggiuntive per dimostrare che si sta andando nella direzione opposta a quella corretta. Il nostro paese era all’ottavo posto per pressione fiscale tra i paesi dell’attuale UE all’inizio del decennio 2000. Da allora tutti gli altri sette la hanno ridotta, alcuni anche in misura consistente, e cinque di essi sono scesi sotto quella italiana (con le eccezioni di Danimarca e Svezia). Questo processo si è ovviamente accentuato nel periodo della recessione. L’Italia è invece l’unico paese ad aver accresciuto la pressione fiscale, sia prima che durante la recessione (e ora, grazie alla serie estiva di manovre, anche dopo).
Per far comprendere l’insostenibilità della situazione anche ai non esperti di questioni economiche si può utilizzare una metafora ispirata da una vecchia canzone dello Zecchino d’Oro: l’ “elefante indiano con tutto il baldacchino” che la bimba che voleva un gatto nero era disponibile a scambiare è una buona rappresentazione del nostro affaticato paese: al livello inferiore il sistema produttivo, l’elefante stanco, sfiancato dal peso crescente e insostenibile del sovrastante settore pubblico, un baldacchino sovraffollato all’inverosimile da distributori di rendite (la classe politica) e cacciatori di rendite (i suoi clientes): corporazioni, portatori organizzati di interessi particolari, imprenditori di stato (ma anche caste e cricche).
Se utilizziamo questa metafora per svolgere confronti internazionali possiamo osservare tre differenti casi: 1) baldacchini grandi su elefanti grandi; 2) baldacchini piccoli su elefanti grandi; 3) baldacchini piccoli su elefanti piccoli. Il caso residuale di baldacchini grandi su elefanti piccoli non sembra proponibile e infatti è il modello (in crisi) adottato dall’Italia. Il primo caso (elefanti grandi e robusti che amano caricarsi baldacchini di grosse dimensioni) identifica i sistemi pubblici ‘pesanti’ che poggiano tuttavia su mercati sviluppati, come nell’area franco-tedesca e scandinava (che ha anche mercati molto liberalizzati); il secondo caso identifica paesi caratterizzati da stati snelli su mercati (almeno prima della crisi) robusti (Stati Uniti, UK e paesi sviluppati anglofoni in generale); il terzo caso paesi di taglia più ridotta (come nell’area est europea) che hanno preferito stati leggeri per non ostacolare il processo di crescita. L’Italia, infine, è l’unico caso tra i paesi maggiori di baldacchino grande su elefante piccolo, di settore pubblico con peso rilevante e crescente che grava su un sistema economico gravemente indebolito. Non è però sempre stato così: negli anni della ricostruzione e del boom economico l’elefante si è accresciuto più rapidamente del baldacchino; dopo, tuttavia, il nostro paese non ha adottato né il modello liberista (stato snello su economia di mercato sviluppata) né quello socialdemocratico (stato ampio su economia di mercato robusta) ed è l’unico ad aver creduto, erroneamente, che un settore pubblico di dimensioni tendenzialmente crescenti fosse praticabile indipendentemente dalle caratteristiche e dalle performance della sottostante economia di mercato: è il modello del baldacchino come variabile indipendente!
A causa di questo errore, che si manifesta attraverso una pressione fiscale crescente trainata da una crescente spesa pubblica, si è pervenuti in due occasioni, nei primi anni ’90 ed ora, a preoccupanti scricchiolii del sistema. Ora il baldacchino, il settore pubblico e la politica che lo amministra, scricchiola come nel 1993 ma per le conseguenze della grave recessione internazionale il sistema produttivo, l’elefante sottostante, scricchiola molto più di allora. La molteplice manovra estiva di Tremonti non fa che confermare il modello del baldacchino come variabile indipendente (che ricorda molto da vicino i privilegi delle classi non produttive prima della rivoluzione francese): se servono più risorse per le esigenze di chi sta sul baldacchino, è l’elefante che deve procurarle, indipendentemente da quale possa essere la sua robustezza e stato di salute.
E’ evidente che, in assenza di rapide correzioni di rotta, l’intero sistema è destinato a crollare. Serve allora un governo che sappia dire a tutti coloro che stanno sul baldacchino e non sono poveri e bisognosi: “signori, siamo arrivati alla fine della corsa, bisogna scendere”. E un governo di questo tipo non può, ovviamente, essere fatto da politici nati e cresciuti sul baldacchino e da esso mai scesi.
FONTE:http://www.chicago-blog.it/2011/09/11/lelefante-italia-e-il-suo-baldacchino/
13.09.2011 Numeri e mostri
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

Testata: Informazione Corretta
Data: 13 settembre 2011
Pagina: 1
Autore: Ugo Volli
Titolo: «Numeri e mostri»
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
Numeri e mostri

Grazie alla segnalazione di un'amica, sono arrivato a un dato sconvolgente, l'elenco dei morti in guerre e conflitti negli ultimi sessant'anni di "pace", dopo la Shoà, dunque, dopo le stragi della Seconda Guerra Mondiale e delle rivoluzioni russe e cinesi (http://conflict.colorado.edu/pacs2500-s09/war-dead-since-1950.shtml). Sono 85 milioni circa. E' interessante che quasi la metà sia stata prodotta nella Cina di Mao, altri dieci milioni dalle ultime ondate dello stalinismo, che la guerra del Vietnam abbia prodotto meno morti (1,8 milioni) delle stragi del Khmer rossi (1,87). I dati da mettere in evidenza sarebbero molti, perché in generale la nostra percezione della gravità dei conflitti, prodotta sostanzialmente dalla stampa, non coincide affatto con la realtà. Per dirne una, la serie di guerre della ex Jugoslavia ha prodotto meno vittime (175 mila) del regime di Tito (200 mila); ma sono comunque sei volte di più della repressione in Argentina (30 mila); mentre le stragi più gravi in Sudamerica sono stati quelle del Brasile contro i suoi indigeni (500 mila), di cui nessuno ha praticamente mai parlato.

Quel che ci interessa qui è comunque la guerra del Medio Oriente, qualla che minaccia la pace del mondo, a quanto dicono i giornali. Sapete complessivamente quanti morti ci sono stati nel conflitto fra Israele e gli arabi dalle due parti (incluse le guerre del '56, del '67 ecc.)? Un milione? Due? Cinque? Neanche per sogno. I morti sono stati 50 mila, compresi i civili, e anche le vittime del terrorismo. In termini numerici, fa lo 0,05 del totale, la metà dell'un per mille. I conflitti armati censiti da Gunnar Heinsohn fra il 1950 e il 2009, che abbiano prodotto più di 10 mila vittime sono stati 67; quello che coinvolge Israele è al posto numero 49. La guerra fra Iran e Iraq è stata 20 volte più luttuosa, avendo fatto 1 milione di vittime; le guerre curde di Iran, Iraq e Turchia hanno fatto 300 mila morti; altrettanti ne ha fatti Saddam delle sue minoranze; la guerra del Kuwait del 90-91 è costata 140 mila cadaveri, quella dello Yemen 100 mila. Insomma, anche nella fortunata regione del Medio Oriente il sangue sparso non corrisponde affatto all'inchiostro sciupato dai giornali.

E allora perché una tale concentrazione su Israele? Mah, chiedetevi perché gli egiziani si sono così agitati per alcuni dei loro militari (5) finiti sotto il fuoco con cui Israele ha respinto i terroristi di Eilat provenienti dal territorio egiziano e nessuno se l'è presa coi terroristi stessi che hanno provocato l'incidente, ammazzando 8 israeliani. Anzi, un articolo sul sito della Fratellanza Musulmana spiega che "se non fossero intervenuti gli americani avremmo impartito a Israele una lezione di morale", immagino facendo a pezzi le guardie dell'ambasciata, un po' come i bravi palestinesi di Ramallah linciarono brano a brano due sfortunati riservisti israeliani che avevano sbagliato strada, undici anni fa. (http://www.memri.org/report/en/0/0/0/0/0/0/5631.htm).

 O meglio, chiedetevi perché le 3000 vittime siriane fatte da Assad negli ultimi mesi (http://www.corriere.it/esteri/11_settembre_12/siria-bilancio-morti-nazioni-unite_c8da5d86-dd1d-11e0-a93b-4b623cb85681.shtml) non emozionano nessuno e ormai le imprese criminali di Assad e del suo esercito non passano neanche per i giornali. In fondo i siriani sono arabi anche loro, no? Non c'è niente da fare, Israele è diverso, le cifre non c'entrano. Il mostro è lui, per gli arabi, per i (neo)comunisti, per i cattolici "progressisti", per la grande stampa. E poi ditemi che l'antisemitismo non c'entra.

Ugo Volli
FONTE:
http://www.informazionecorretta.it/main.php?sez=90

sabato 10 settembre 2011

11 settembre


09.09.2011 Sharia, il futuro dell'Egitto post Mubarak in mano ai Fratelli Musulmani
Cronaca di Giulio Meotti

Testata: Il Foglio
Data: 09 settembre 2011
Pagina: 1
Autore: Giulio Meotti
Titolo: «Fratelli indistruttibili»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 09/09/2011, a pag. 1-4, l'articolo di Giulio Meotti dal titolo "Fratelli indistruttibili".

Giulio Meotti

Roma. Nel 2007 Foreign Affairs, organo ufficiale dell’establishment americano di politica estera, fece scoppiare un caso pubblicando un saggio di Robert Leiken e Steven Brooke. I due studiosi chiedevano al Dipartimento di stato americano di avviare un dialogo con i Fratelli musulmani, definiti “moderati”, sulla base della loro “evoluzione non violenta”. Leiken e Brooke descrivevano il maggiore gruppo egiziano come una macchina pragmatica che l’occidente non doveva temere. Il Foglio ne trasse un’inchiesta in tre puntate per capire se ci fosse del vero.
Adesso Foreign Affairs fa marcia indietro e pubblica un dossier di venti pagine dal titolo emblematico: “Gli indistruttibili Fratelli musulmani”. Sottotitolo: “Le pessime prospettive per un Egitto liberale”. Il dossier è costruito su trenta interviste a membri della Fratellanza, dati per favoriti in autunno alle elezioni, le prime dopo la caduta di Hosni Mubarak.
Scrive Eric Trager, autore dell’inchiesta, che “i manifestanti che hanno guidato la rivolta in Egitto erano giovani e liberali. Lungi dall’emulare l’ayatollah Ruhollah Khomeini, si abbeveravano da Thomas Paine, chiedevano libertà civili, uguaglianza religiosa e fine della dittatura. La loro determinazione ha alimentato l’ottimismo che la Primavera araba fosse finalmente esplosa e che il medio oriente non sarebbe più stato una eccezione autocratica in un mondo democratico. La transizione politica seguita alla rivolta ha soffocato l’ottimismo”.
I Fratelli musulmani stanno dominando il processo politico seguito alla fine di Mubarak. La Fratellanza “non tempererà la propria ideologia”, dice Foreign Affairs, perché per diventare un “fratello” si deve superare un percorso di otto lunghissimi anni, “in cui gli aspiranti membri sono osservati da vicino nella loro lealtà e indottrinati all’ideologia della Fratellanza”. “Quando emergerà in autunno con un potere elettorale, se non con una aperta maggioranza dei voti, la Fratellanza userà la posizione conquistata per spostare l’Egitto in una direzione teocratica e antioccidentale”.
Foreign Affairs racconta il reclutamento della Fratellanza che inizia addirittura “con i bambini di nove anni”. Il ciclo si apre con il “muhib”, il seguace, che entra in una “usra”, famiglia, guidata da un “naqib”, un capitano. Poi si diventa “muayaad”, un sostenitore, quindi “muntasib”, membro, si passa a “muntazim”, un organizzatore, concludendo il noviziato con il titolo di “ach ‘amal”, fratello. “Nessun altro gruppo egiziano può contare sulla stessa rete”, spiega Foreign Affairs.
“Dopo la caduta di Mubarak, la Fratellanza ha continuato a dimostrare la propria capacità unica di mobilitare i sostenitori”. Foreign Affairs sfata il mito della rivolta solo “laica”. Scrive invece che la Fratellanza ha avuto un ruolo “pivotal”, centrale. “La Fratellanza all’inizio ha evitato un coinvolgimento nelle manifestazioni, iniziate il 25 gennaio, a causa della minaccia di arresto di Mohammed Badie, Guida suprema della Fratellanza. Ma il giorno dopo il bureau ha reso ‘obbligatoria’ la partecipazione alle proteste del 28 gennaio. Sebbene la maggioranza dei dimostranti non fossero affiliati a partiti politici, l’ordine della Fratellanza ha catalizzato il trionfo sulle forze di sicurezza. Non appena finivano le preghiere nelle moschee, attivisti stazionavano all’ingresso e ordinavano un confronto con la polizia di Mubarak. Molti erano Fratelli musulmani”.
Secondo l’organo del Council on Foreign Relations, uno dei più prestigiosi think tank di politica estera, “la Fratellanza si appresta a vincere la grande maggioranza dei seggi in cui si presenta”. Il progetto è chiaro: “L’islamizzazione della società egiziana”. Politicamente, “Washington deve guardare con preoccupazione l’ascesa della Fratellanza, perché nonostante l’insistenza dei Fratelli secondo cui i loro obiettivi sono ‘moderati’, loro definiscono il mondo in modo diverso dall’occidente”. La Fratellanza cercherà di “incrementare i legami con la grande nemesi americana, l’Iran, e di denigrare gli accordi di Camp David con Israele”.
La Casa Bianca dovrebbe aumentare “gli aiuti ai liberali”, “deve promettere che riconoscerà il risultato elettorale soltanto se chi vincerà si impegnerà a non partecipare in conflitti fuori dai confini egiziani” (riferimento a Israele) e “deve parlare a nome dei cristiani ogni volta che sono attaccati”. “I 600 mila Fratelli sono devoti a idee non moderate. Gli Stati Uniti devono concentrarsi sugli altri 81 milioni di egiziani. La Fratellanza può conquistarli se gli Stati Uniti non agiranno velocemente per un’alternativa – la visione liberale per la quale i giovani di piazza Tahrir hanno combattuto valorosamente”. 


FONTE:http://www.informazionecorretta.it/main.php?mediaId=8&sez=120&id=41342

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