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sabato 24 settembre 2011

Il tetto alla spesa che salva i conti (e il paese)

Nella proposta di riforma della Costituzione presentata da Nicola Rossi e da altri senatori, appartenenti a forze politiche sia di opposizione che di maggioranza, il vincolo del pareggio di bilancio è opportunamente affiancato da un tetto alla spesa pubblica complessiva, stabilito al 45% del Pil. Poichè nel 45% è inclusa la spesa per interessi sul debito, che negli ultimi anni ha oscillato tra il 4,5 e il 5%, il tetto proposto da Nicola Rossi sarebbe stato rispettato con una spesa pubblica primaria (al netto quindi della spesa per interessi) pari al 40-40,5% del Pil. Si tratta di valori molti inferiori a quelli effettivi del decennio 2000 ma in linea con quanto verificatosi per tutta la seconda metà degli anni ’90.
Nei sei anni dal 1995 al 2000 la spesa pubblica primaria in rapporto al Pil è rimasta infatti costante al 41%, come si può osservare nel grafico sottostante, permettendo, data la dinamica delle entrate, il rispetto del vincolo di Maastricht del 3% e l’ammissione alla moneta unica (il dato 2000, inferiore al 41%, è in realtà conseguenza dell’inopportuna contabilizzazione delle entrate derivanti dalla gara per la cessione delle frequenze telefoniche come minori spese in conto capitale anzichè come maggiori entrate). Per evidenziare l’importanza del tetto alla spesa ho provato a fare il seguente esercizio: dove sarebbero ora i valori della nostra finanza pubblica se il tetto proposto da Rossi fosse stato rispettato per tutti gli anni 2000 sino all’emergere della recessione (perchè già in vigore o perchè accolto di fatto, come negli anni 1995-2000)? L’ipotesi è rappresentata dalla linea rossa nel grafico sottostante: la spesa pubblica primaria in rapporto al Pil è posta al 41% dal 2000 al 2007 mentre negli anni 2008-10 è lasciata crescere esattamente degli stessi ‘gradini’ che si sono verificati nella realtà (in deroga, data la recessione, al vincolo del 41%).

A questo punto è interessante provare a ricalcolare i saldi di finanza pubblica sostituendo la spesa primaria ipotizzata alla spesa primaria effettiva e ipotizzando, un pò semplicisticamente, invarianza delle entrate (il nostro è un esercizio contabile, con qualche semplificazione e limite, tuttavia in grado di darci un’idea del possibile scenario alternativo di finanza pubblica; ben diverso sarebbe invece l’utilizzo allo stesso fine di un modello econometrico dell’economia italiana). Ovviamente il risparmio sulla spesa pubblica primaria si traduce, a parità di entrate, in una minor crescita del debito pubblico la quale permette una minor spesa per interessi. Considerando anche la minor spesa per interessi, gli effetti sul rapporto tra indebitamento e Pil sono descritti dalla linea rossa nel grafico sottostante (rispetto alla linea blu che rappresenta invece i dati effettivi).
 
Nell’ipotesi di tetto alla spesa il disavanzo pubblico rispetto al Pil sarebbe stato del 2% circa nel 2001 e 2002 per poi scendere all’1% circa nel triennio 2003-2005 e trasformarsi in avanzo di bilancio nel triennio successivo. Con la recessione ritorna il disavanzo, tuttavia con valori che non superano mai il 3% di Maastricht. Ancora più interessante osservare la dinamica del debito pubblico nello scenario ‘contabile’ con tetto alla spesa, riportata nel grafico seguente.

In sintesi il debito pubblico in valore assoluto sarebbe stato sostanzialmente stabilizzato poco al di sotto dei 1400 miliardi, per superare tale valore, ma di poco, solo per effetto della crisi economica. A fine 2010 il minor debito pubblico accumulato è stimabile in circa 400 miliardi. In rapporto al Pil il debito avrebbe invece continuato a ridursi alla stessa velocità della seconda metà degli anni ’90 sino ad arrivare all’87% nel 2007 e 2008 per poi risalire al 93% nel 2009 e 2010 (anziché al 119% effettivo dell’ultimo anno, quindi attestandosi 26 punti percentuali al di sotto).

Il 93% nel rapporto Debito/Pil si colloca pur sempre dieci punti sopra quello di Francia e Germania, tuttavia è molto probabile che se avessimo registrato quel dato i mercati non si sarebbero preoccupati di noi e la storia di questi mesi (e quella dei prossimi anni) sarebbe stata molto differente. Bastava continuare a rispettare un tetto alla spesa pubblica che i governi della seconda metà degli anni ’90 avevano, senza porlo esplicitamente come vincolo, già rispettato senza grandi fatiche né manovre lacrime e sangue.
Postilla: si può obiettare che in presenza di una spesa primaria più contenuta una parte di essa sarebbe stata probabilmente utilizzata per allegerire la pressione fiscale anzichè integralmente destinata a ripianamento del disavanzo. D’acc0rdo ma in quel caso forse il Pil non sarebbe rimasto al palo e una crescita ‘normale’ avrebbe probabilmente compensato, almeno parzialmente, l’effetto  della riduzione delle aliquote sul gettito fiscale. Alla fine del periodo forse il debito non sarebbe sceso al 93% del Pil ma qualche punto sopra e in ogni caso molto al di sotto del 119% al quale è arrivato alla fine del 2010. Anche in questa ipotesi tanto l’attualità quanto il futuro prossimo non  sarebbero stati gli stessi.

FONTE:http://www.chicago-blog.it/2011/09/19/il-tetto-alla-spesa-che-salva-i-conti-e-il-paese/

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