guerra all'italico declino

FEDERALISMO; necessità italica di DITTATURA CORRETTIVA a tempo determinato per eliminazione corruzione, storture e mafie; GIUSTIZIA punitiva e certezza della pena; LIBERISMO nel mercato; RICERCA/SVILUPPO INNOVAZIONE contro la inutile stabilità che è solo immobilismo; MERCATO DEL LAVORO LIBERO e basato su Meritocrazia e Produttività; Difesa dei Valori di LIBERTA', ANTIDOGMATISMO, LAICITA' ;ISRAELE nella UE come primo baluardo di LIBERTA'dalle invasioni. CULTURA ED ARTE come stimolo di creatività e idee; ITALIAN FACTOR per fare dell'ITALIA un BRAND favolosamente vincente. RISPETTO DELLE REGOLE E SENSO CIVICO DA INSEGNARE ED IMPORRE

mercoledì 28 dicembre 2011


Riportiamo da LIBERO di oggi, 28/12/2011, a pag. 16, l'articolo di Andrea Morigi dal titolo " Europa anticristiana. Non fermerà mai i genocidi islamici".

Andrea Morigi

Un genocidio in meno, un massacro in più. Tra l’ostinato negazionismo turco sullo sterminio degli armeni e gli attentati di Natale compiuti in nigeria dai Boko Haram contro i cristiani c’è una relazione stretta. È molto più che un ricatto, da parte di Ankara, la minaccia di imporre sanzioni economiche alla Francia, colpevole di aver approvato la settimana scorsa, in prima lettura, una legge che introduce il reato di negazione del genocidio armeno. Di questi tempi in Europa si valutano principalmente le conseguenze sul Pil di un eventuale calo dell’in - terscambio commerciale con gli altri Paesi islamici, messo a rischio da un boicottaggio turco. Non si calcola invece la portata ideologica della reazione turca.
Gli Stati islamici sono impegnati in un’ultradecennale battaglia alle Nazioni Unite per introdurre una risoluzione di condanna della diffamazione della religione, così da giustificare il reato di blasfemia che in Pakistan prevede la pena di morte. Anche per chi ha scelto la strada della guerra santa, un riconoscimento dell’Onu sarebbe quasi una benedizione sull’uc - cisione degli infedeli accusati di offese verso il Corano o Maometto. Per ora, i jihadisti si devono accontentare di un gioco di sponda. Se in Nigeria si bombardano le chiese, in Turchia gli omicidi avvengono col contagocce ma a Istanbul è stata trasformata in moschea l’antica basilica cristiana di AghiaSophia. E,comunque, si difendono lamemoriae l’onore degli ottomani responsabili, un secolo fa, della morte di centinaia di migliaia di armeni.
E, così facendo, si fornisce giustificazione a chi oggi va a caccia di cristiani. In Israele, dove purtroppo di martirio e persecuzione se ne intendono, si è aperto nei giorni scorsi un dibattito, sfociato in una proposta di legge per istituire, il 24 aprile, una giornata della memoria, data in cui iniziarono le esecuzioni di massa del popolo armeno nel 1915.
La grande assente dal dibattito rischia di essere l’Osce, l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa. In realtà finora, grazie anche all’impegno dell’italiano Massimo Introvigne come rappresentante per la lotta al razzismo, alla xenofobia e all’intolleranza e discriminazione contro i cristiani e i seguaci di altre religioni, l’organismo internazionale si era distinto per un’intensa attività, culminata nel vertice di Roma sui crimini di odio contro i cristiani del 12 settembre 2011.
Quel lavoro rischia ora di finire nel dimenticatoio per le diverse priorità della presidenza di turno irlandese, che ha appena nominato l’ex giudice della Corte Suprema di Dublino, Catherine McGuinness, come nuova rappresentante per il 2012. Il magistrato, il cui campo specifico sono i diritti delle donne, è anche la principale autrice della legge che impone la denuncia obbligatoria di qualunque sospetto di abusi su minori anche ai vescovi. Si annuncia così un’offen - siva dell’ossessione irlandese per il tema della pedofilia, che potrebbe trasformarsi in un’altra caccia alle streghe, in particolare contro i cattolici.

martedì 20 dicembre 2011

EURABIA all'orizzonte


Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 20/12/2011, a pag. 2, l'articolo di Giulio Meotti dal titolo "Da Londra a Bruxelles, la civilissima Europa pullula di corti islamiche".

Giulio Meotti                   Europa islamica nel 2015

Roma. In Gran Bretagna hanno superato quota cento i tribunali islamici organizzati in base alla sharia. Alla Camera dei Lord è stato appena introdotto un disegno di legge, fortemente promosso dall’ex arcivescovo anglicano Michael Nazir Ali, che cercherà di regolare l’anarchia delle corti musulmane. Ma il fenomeno si sta ormai allargando a macchia d’olio in tutta Europa. Due corti islamiche sono state appena inaugurate a Bruxelles e Anversa, il cuore dell’Unione europea. Potranno sanzionare la poligamia, il diritto di “redarguire” le mogli, il divorzio veloce e prevenire i matrimoni misti. Il sobborgo di Tingbjerg, a Copenaghen, è stato dichiarato dal gruppo Kaldet al Islam (“Chiamata dell’islam”) prima “zona sotto il controllo della sharia”. In Norvegia il presidente dei tribunali civili, Tor Langbach, ha appena detto che “il sistema beneficerà dall’introduzione della sharia”. Ad Amsterdam è attiva la corte della sharia al centro De Balie. In Francia non è stato ancora fatto un censimento. In Germania il settimanale Spiegel ha pubblicato un’inchiesta dal titolo: “Il ruolo della legge islamica nelle corti tedesche”. Elementi del diritto islamico prodotti in Arabia Saudita nel VII secolo sono ormai parte del rigido sistema tedesco. La Bild ha messo in copertina la statua della dea Iustitia con la testa coperta dal velo islamico e il Corano su uno dei due piatti della bilancia. Si tratta di un “lento processo di capitolazione di fronte all’inevitabile”, ha scritto il giornalista liberale Henryk Broder. Ovunque nel Vecchio continente sono in vigore sistemi di giustizia paralleli alla stato. In Inghilterra l’evoluzione di questo sistema giudiziario “alieno” è stata possibile grazie a un codicillo del British Arbitration Act. Così, nel glorioso sistema di Common Law britannico, nuovi tribunali emettono sentenze basate sul rifiuto del principio di inviolabilità dei diritti umani, dei valori di libertà e di uguaglianza che sono alla base delle democrazie europee. I principali tribunali islamici sorgono a Londra, Birmingham, Bradford, Manchester e Nuneaton. Altre importanti sedi verranno aperte a Leeds, Luton, Blackburn, Stoke e Glasgow. Il primo tribunale islamico venne istituito nel 1982 a Londra con il nome di “Consiglio della sharia islamica”. Il segretario generale è Suhaib Hasan, membro del Consiglio europeo per le ricerche e la fatwa, l’organismo presieduto da Youssef al Qaradawi, leader spirituale dei Fratelli musulmani. Queste corti formalizzano soprattutto il “talaq”, il ripudio della moglie da parte del marito. Anche i due principali esponenti dell’establishment religioso e legale britannico hanno “benedetto” le corti. Si tratta di Rowan Williams, arcivescovo di Canterbury e capo della chiesa anglicana, e il presidente della Corte suprema, Lord Phillips. La baronessa Sayeeda Warsi, esponente conservatrice di fede islamica, ha avvertito: sotto i nostri occhi è in corso un “apartheid legale”.

venerdì 16 dicembre 2011

E'tempo di guerra....

Iniziamo ad ammazzare i comunisti combattenti senza pietà alcuna ,sterminandogli famiglie ed amori e bruciando la terra intorno a loro..
poi tocca al resto...
 

Buste con proiettili a Monti e Fornero. Minacce anche a Berlusconi, Casini, Bersani e alcuni quotidiani


Artificieri della polizia mentre bonificano scatole in plastica contenenti lettere sospette (ANSA/MASSIMO PERCOSSI)Artificieri della polizia mentre bonificano scatole in plastica contenenti lettere sospette (ANSA/MASSIMO PERCOSSI)
Dieci buste con proiettili e un volantino di minacce firmato dal Movimento Armati proletari, rivolte al premier Mario Monti, all'ex presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, e ai direttori di alcuni quotidiani nazionali sono state intercettate nella serata di ieri al Centro meccanografico di Poste Italiane di Lamezia Terme.
Buste con proiettili anche per Bersani, Fornero e Casini
Le buste contenenti i proiettili di vario calibro sono indirizzate, oltre che a Monti e a Berlusconi, anche a Pier Luigi Bersani e al ministro del Welfare Elsa Fornero. Altri plichi sono poi stati inviati a Pierferdinando Casini e ai direttori Ferruccio De Bortoli (Corriere della Sera), Ezio Mauro (La Repubblica), Maurizio Belpietro(Libero), Leonardo Boriano (La Padania) e Lamberto Sechi (Il Tempo).
Sul volantino le minacce: ve la faremo pagare
Nel volantino sono contenute ingiurie e minacce che rimandano alla manovra attualmente all'esame della Camera. «Ve la faremo pagare a tutti. Vi colpiremo e sarà una guerra all'ultimo sangue», è una delle frasi contenute nel documento del Movimento Armato Proletario che accompagna i plichi con i proiettili. «Vi faremo maledire - è scritto ancora - queste misure col sangue. Non dovrete più dormire sonni tranquilli. Il piombo non manca e adesso arriva anche il tritolo dagli amici arabi».
Nei giorni scorsi plichi analoghi contro il ministro Severino e Alemanno
Nei giorni scorsi, poi, due distinte buste contenenti proiettili sono state invece recapitate anche al ministro della Giustizia, Paola Severino, e al sindaco di Roma, Gianni Alemanno. I plichi sono stati intercettati dalla polizia nel corso dei controlli anti terrorismo intensificati dopo i pacchi bomba degli anarco insurrezionalisti nei giorni scorsi, recapitati a Francoforte e a Roma nella sede di Equitalia. Sulla vicenda la procura della capitale ha anche aperto un fascicolo di indagine ipotizzando il reato di minaccia grave. Nelle buste c'erano due proiettili calibro 40 e, all'interno di quella indirizzata alla segreteria del sindaco Alemanno, anche un messaggio minatorio firmato dal Nucleo Galesi per i Pac (Proletari Armati per il Comunismo).

mercoledì 14 dicembre 2011

Quei maledetti 98 miliardi che lo Stato non vuole riscuotere

98 miliardi di euro slot machine machines fisco monopoli Atlantis Claudio Messora Byoblu Byoblu.Com

 articolo di Valerio Valentini per Byoblu.com

E se mentre vi stanno decurtando la pensione, obbligandovi a lavorare per altri 6 anni, vi dicessero che ci sono 98 miliardi di euro che lo Stato potrebbe riscuotere ma a cui non sembra per nulla interessato? E se mentre le accise sulla benzina aumentano e fare un pieno diventa un salasso veniste a sapere che sono 4 anni che i vari governi di destra, di sinistra e di impegno nazionale non fanno nulla per recuperare quella cifra enorme che, da sola, basterebbe a pagare gli interessi sul debito pubblico nazionale per un anno intero?

Un po’ di storia

 E' il maggio del 2007 quando una Commissione Parlamentare prima, e il Gruppo Antifrodi Tecnologiche della Guardia di Finanza poi, al termine di una lunga inchiesta comunicano i risultati alla Corte dei Conti. E sono dati sconcertanti. Le dieci maggiori società concessionarie che gestiscono le slot machine avrebbero contratto un debito col Fisco per gli anni 2004-2007 pari a circa 100 miliardi. La truffa erariale più grande che la storia della nostra Repubblica ricordi.

 Ma come è potuto succedere? Molto semplicemente, per legge le fameliche slot machine devono essere collegate con un modem ad un ricevitore della Sogei (Società Generale di Informatica controllata dal Ministero del Tesoro). Invece, i due terzi delle macchinette non sono collegate a questo sistema di controllo. E infatti nel solo 2006 le società indagate incassano il triplo dell’importo dichiarato al Fisco: 43,5 miliardi anziché 15,4. Dopo varie contestazioni e numerose penali – che lasciano ipotizzare un costante aumento della cifra che lo Stato deve riscuotere – si arriva, il 4 dicembre del 2008, al processo. Come spesso succede, tuttavia, i difensori contestano la competenza della Corte dei Conti obiettando che di tale questione deve occuparsi il Tar del Lazio. La disputa viene risolta dalla Cassazione, che nel dicembre del 2010 stabilisce che i giudici contabili possono continuare ad indagare. E infatti, nell’ottobre scorso, è ripreso il processo.

Le responsabilità dei Monopoli

 Pesanti responsabilità, se non addirittura connivenze, sembrano ricadere anche sull’Agenzia dei Monopoli di Stato (AAMS). A denunciarlo è la stessa Commissione d’indagine che parla di “interrogativi” sorti durante l’inchiesta “su specifici comportamenti tenuti dai Monopoli in particolari occasioni” che “riguardano sia la fase di avvio delle reti telematiche e in particolare l’esito positivo dei collaudi allora condotti, subito dopo smentiti dall’esperienza applicativa, sia l’accelerato rilascio di nulla-osta di distribuzione per apparecchi nell’imminenza dell’entrata in vigore di una disciplina più stringente, sia infine l’omessa applicazione di sanzioni previste dalla legge e ‘l’invenzione’ di regimi fiscali forfettari”. E secondo quanto dichiarato da un membro della Commissione al Secolo XIX, “i Monopoli hanno autorizzato persino macchinette apparentemente innocue, giochi di puro intrattenimento, senza scoprire che premendo un pulsante si trasformavano in slot-machine. L’applicazione di forfait ha permesso il dilagare di anomalie, perché la 'cifra fissa' è assai più bassa di quella che potrebbe essere rilevata dalle macchine. Così in moltissimi casi sono state dichiarate avarie, guasti, difficoltà di collegamento dei modem solo per poter pagare di meno, con una perdita secca per lo Stato di miliardi di euro”.

 I Monopoli, in sostanza, avrebbero permesso e facilitato la dilagante evasione delle società concessionarie, “rinunciando a qualunque forma di sanzionamento che avrebbe dovuto essere attuata”. Oltre ai vertici de Monopoli, gravi accuse di corruzione sono state rivolte dalla Commissione a singoli funzionari che, attraverso “anomale procedure” e “retrodatazione delle autorizzazioni”, avrebbero permesso ad almeno 28 aziende (alcune delle quali oggetto di indagini da parte della magistratura per presunti reati di corruzione nei confronti di dirigenti dei Monopoli) di eludere le disposizioni introdotte successivamente dalla legge.

L’immobilismo dei governi

 Intanto, i governi che si sono succeduti dal 2007 ad oggi - di sinistra, di destra e di impegno nazionale - continuano a restare imbambolati senza prendere una decisione al riguardo. L’ultima volta che se ne è parlato in Parlamento, l’estate scorsa, il ministro Vito ha rassicurato che «nel decreto anticrisi, attraverso la collaborazione con la Guardia di Finanza, sono stati attivati controlli e indagini sull’attività delle società stesse a garanzia del loro operato e per verificarne l’affidabilità». Che tradotto suona più o meno come in Don Raffaè: “Lo Stato che fa? S’indigna s’impegna poi getta la spugna con gran dignità!”.


Slot, politica e Mafia: un intreccio pericoloso

 Si potrebbe essere maligni, a questo punto, e pensare che tanto immobilismo bipartisan sia dovuto alla presenza di uomini vicini a politici importanti nell’affare. E magari anche alle infiltrazioni della criminalità organizzata.

 Atlantis ad esempio, una delle società concessionarie maggiormente impantanate nella faccenda (con sede fiscale nelle Antille Olandesi), ha un legale rappresentante che si chiama Amedeo Labocetta, un ex esponente di spicco di An a Napoli, oggi parlamentare del Pdl. Lui però ha sempre stoicamente rimandato al mittente ogni accusa: “Faccio il deputato a tempo pieno, sono nella commissione antimafia e mi sento il custode di Montecitorio: sempre il primo ad arrivare e l’ultimo ad andarsene”. Peccato che questo stakanovista eroe della patria si sia reso protagonista di un episodio assai curioso, il 9 novembre scorso. Mentre le Fiamme Gialle stavano perquisendo un ufficio di Francesco Corallo, presidente di Atlantis, s’è intrufolato quatto quatto nel locale – insieme a Giulia Bongiorno, deputata di Fli – e ha portato via quello che ha definito essere un “suo” computer, invocando l’immunità parlamentare in faccia ai militari della Guardia di Finanza.  Francesco Corallo, proprietario di quell’ufficio romano e presidente di Atlantis, è un personaggio piuttosto importante. Se non altro perché suo padre è quel Gaetano Corallo condannato a 7 anni di reclusione per associazione a delinquere. Si tratta di uno dei più importanti esponenti della mafia di Catania, in strettissimi rapporti con Nitto Santapaola, che avrebbe anche ospitato in una sua villa ai Caraibi durante la latitanza del superboss.

 Forse, un giorno, qualcuno ci dirà come andrà a finire questa brutta storia. Intanto voi, cari Italiani, in nome del bene del Paese e in virtù della difficoltà del momento che stiamo attraversando, pagate e zitti.

  FONTE:http://www.byoblu.com/post/2011/12/10/Quei-maledetti-98-miliardi-che-lo-Stato-non-vuole-riscuotere.aspx

Riportiamo dal GIORNALE l'articolo di Magdi Cristiano Allam dal titolo
 
"Se anche la destra europea si illude sulle rivolte arabe".



Magdi C. Allam

Sullo stesso argomento, invitiamo a leggere il commento di Astrit Sukni, pubblicato in altra pagina della rassegna
Se in ambito finanziario ed eco­nomico il nuovo governo Monti dovrebbe affermare una disconti­nuità rispetto al passato, nel rap­porto con i nostri vicini di casa isla­mici possiamo star tranquilli che opererà nel solco della continui­tà. Così come prima eravamo di­sinteressati al rispetto dei diritti fondamentali della persona e ci preoccupavamo esclusivamente delle forniture di petrolio e gas, dell’accesso ai mercati e della di­sponibilità dei fondi sovrani, ora faremo esattamente lo stesso. Ci potrebbe confortare il fatto che siamo tutt’altro che soli, così co­me emerge anche dal Congresso svoltosi a Mar­siglia il 7 e 8 di­cembre del Ppe (Partito Po­polare Euro­peo), a cui ade­ri­sce la maggio­ranza dei capi di stato o di go­verno dell' Unione Euro­pea, ben 16 su 27. Nel docu­mento conclu­sivo del Ppe si legge: «A segui­to delle prote­ste popolari arabe e dei cambiamenti rivoluzionari, le nostre rela­zioni con i pae­si coinvolti nel­la 'Unione per il Mediterra­neo' deve esse­re ridefinito. Il nostro scopo ri­mane assicurare la democrazia, la prosperità e la stabilità nella re­gione. Così l'Ue deve sostenere la transizione democratica nella parte meridionale della regione. In questo senso il nostro obiettivo per il nuovo partenariato euro­mediterraneo è di un nuovo qua­dro di cooperazione al fine di raf­forzare le nuove democrazie e di fornire una nuova piattaforma per le relazioni politiche e la coo­perazione economica».
I regimi islamici sarebbero le
«nuove democrazie»? Fino a ieri aderivano al Ppe i partiti di Muba­rak, Ben Ali, Gheddafi, Assad e ve­nivano considerati «democrati­ci ». Oggi si volta pagina: benvenu­ti i partiti islamici!
Quando i dittatori militari era­no ben saldi al potere sulla spon­da mer­idionale e orientale del Me­diterraneo li legittimavamo e cor­teggiavamo
qualificandoli laici, moderati, alleati dell'Occidente sia nel conflitto ideologico con gli integralisti islamici sia nella guer­ra terroristica scatenata dai fana­ti­ci di Allah che applicano alla lette­ra ciò che è scritto nel Corano e ciò che ha detto e ha fatto Maometto. Ora che gli integralisti islamici stanno conquistando il potere strumentalizzando il rito delle ele­zioni senza condividere i valori fondanti della democrazia, li stia­mo legittimando e corteggiando qualificandoli come laici, mode­rati, alleati dell'Occidente sia con­tro i dittatori militari sia contro i terroristi islamici, assicurandoci quei beni materiali e quel denaro che sono quanto più di altro ci sta a cuore, ciò che ispira la nostra po­litica internazionale e, di fatto, la ragione con cui ormai concepia­mo la nostra stessa vita.Diciamo pure che se pur di far primeggiare il dio denaro siamo pronti a subire sulla nostra pelle la più vessatoria delle manovre eco­nomiche, persino a modificarci geneticamente trasformandoci da persone raziocinanti e creden­ti in individui produttori e consu­matori, invece di fronte al dio isla­mico Allah ci limitiamo a prostrar­ci confidando nella benevolenza dei suoi adoratori ma senza azzar­darci di offendere la loro ideolo­gia o di urtare la loro suscettibilità.
Anzi diciamo loro che sono sem­pre i migliori e che non nutriamo alcun dubbio sulla loro credibili­tà.
Ebbene oggi il governo Monti, certamente in linea con le diretti­ve impartite dagli Stati Uniti e con­divise dall'insieme dell'Unione Europea, si sta comportando con la stessa concezione data da Chur­chill della persona conciliante: «Uno che nutre un coccodrillo nel­la speranza che questo lo mangi per ultimo». Il ministro degli Este­ri Te­rzi si è recato ad Ankara osan­nando Erdogan e reiterando l’ap­pello all’ingresso della Turchia nell’Unione Europea.Ma è consa­pevole che Erdogan mira a riesu­mare un neo-califfato islamico che finirà per costituire la princi­pale minaccia all'Europa? Terzi ha appena incontrato alla Farnesi­na
gli oppositori ad Assad del «Consiglio nazionale siriano»assi­curando loro l'impegno a inaspri­re le sanzioni per far prevalere la democrazia. Gli consigliamo di in­contrarsi sep­aratamente con i rap­presentanti dei due milioni e mez­zo di cristiani siriani che stanno fuggendo dal Paese perché temo­no seriamente per la loro vita qua­lora i Fratelli Musulmani, che so­no il vero burattinaio della rivolta popolare, dovessero conquistare il potere. Incontri anche i cristiani in fuga dall'Egitto dove le «libere elezioni» hanno finora fatto emer­gere una netta maggioranza dei Fratelli Musulmani, che oggi defi­niamo moderati, unitamente ai salafiti, che consideriamo più ra­dicali ma pur sempre espressione della legalità democratica.
Per assecondare la nostra fame di denaro e contenere la nostra pa­ura dei vicini di casa irruenti fino alla violenza cieca, abbiamo tradi­to i dittatori militari e oggi legitti­miamo i novelli dittatori islamici. Finora abbiamo acconsentito che a pagare il conto della nostra spre­gi­udicatezza e della nostra viltà si­ano i cristiani, gli ebrei, Israele, le donne musulmane, i laici, gli intel­lettuali, gli agnostici e i non cre­denti.
Ma presto toccherà a noi fron­teggiare il coccodrillo islamico: quando non avremo prede da im­­molare sull'altare di Allah, per noi non ci sarà scampo.

Un impero da 250 milioni di persone

Dobbiamo stare attenti all’internazionale dei Fratelli musulmani


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Tutti i giorni le primavere arabe ci propongono delle sciarade: perché per esempio il più importante comandante islamista delle nuove forze militari libiche invece di lavorare a casa sua è stato mandato in Turchia per aiutare il gruppo armato, ormai un esercito, in lotta contro Assad di Siria? Per quale motivo Abdullah Gül, presidente turco, diserta una conferenza mondiale a Vienna solo perchè il ministro israeliano della difesa Ehud Barak è presente, e dichiara Hamas e il suoi capo Khaled Mashal «sostenitori della democrazia»? Perché il premier Erdogan ha esortato i Paesi occidentali a riconoscere Hamas come «il governo legittimo» dei palestinesi e ha dichiarato Abu Mazen capo di «un governo illegittimo»?
La risposta, come spiega lo storico Barry Rubin, è nella nascita della «Internazionale della Fratellanza Islamica», seconda al traguardo nel 2011 dopo la terza Internazionale Comunista nata nel 1919. Come ai tempi del comunismo, un gruppo ideologico formato da Stati si estende oggi a circa 250 milioni di persone, gli abitanti dell'Egitto, della Striscia di Gaza, del Libano oppresso dagli Hezbollah, della Libia, della Tunisia, probabilmente della Siria, e ormai anche di buona parte della Turchia: questi popoli con estrema probabilità sono o saranno governati da governi che stabiliranno la sharia; che avranno verso le altre religioni un atteggiamento di dominazione (i cristiani e gli ebrei sono per loro, dhimmi, ovvero soggetti a tutela e a leggi speciali che includono il pagamento di decime) o, al peggio, di aggressivo assedio; che avranno come dogma lo stabilimento del califfato mondiale; che terranno verso le donne, gli omosessuali, i dissidenti, un atteggiamento duro e pericoloso.
Fra i Fratelli Musulmani, nati nel 1928 e riemersi adesso dalla clandestinità imposta da dittatori gelosi, vige oggi un atteggiamento di reciproco sostegno economico e morale. Per esempio, Hamas dopo aver visto che Assad uccide e aggredisce i suoi «Fratelli» in Siria (Hamas è parte della Fratellanza che lotta contro il raìs) sta lasciando Damasco e dividerà la sua leadership fra l'Egitto e il Qatar. In Egitto, l'Internazionale della Fratellanza ha il suo centro, come dire la Mosca dei bei tempi, e gli amici sono lieti di aiutare (ci sarebbero ormai fabbriche d'armi di Hamas nel Sinai, Gaza è molto più aperta a ogni traffico che ai tempi di Mubarak). Il Qatar invece è l'inopinato master delle rivoluzioni, un giocatore d'azzardo dell'estremismo, amico dell'Iran. Ma centrale è nell'Internazionale il rilievo di Istanbul che aiuta l'opposizione siriana, e che si è fatta sponsor di Hamas.
L'Internazionale per ora non ha il suo inno che canta «Futura umanità!», ma non dovremo aspettare molto. Lo si canterà anche in Europa, dove ha centri di diffusione presso alcuni gruppi di immigrati. I gesti a carattere politico-religioso si moltiplicano: ad Amsterdam una folla ha aggredito il dibattito di due musulmani laici, la scrittrice canadese Irshad Manji e il verde olandese-marocchino Tofik Dibi. Il gruppo in causa si chiama Sharia4Belgium. In Belgio il gruppo ha impedito il dibattito dell'autore Benno Barnard che presentava un suo libro. Ad Anversa il gruppo ha stabilito una corte islamica per creare un sistema legale parallelo. Un buon inizio di califfato, fra tanti altri segnali.
(tratto da Il Giornale)

Un mio nuovo MASTER: MENTANA

Se qualcuno avesse ancora dubbi sulla lentezza macchinosa,antiproduttiva e controproducente dei sindacati.SUL REGIME SOVIETICO della federazione e dell'ordine dei giornalisti...
LIBERIAMOCI!!

Mentana: mi dimetto dalla direzione del Tg La7

 

Enrico Mentana lascia la direzione del Tg La7Enrico Mentana lascia la direzione del Tg La7
Il direttore del tg La7 Enrico Mentana si è dimesso. Lo ha reso noto egli stesso dopo aver appreso la notizia di «essere stato denunciato alla magistratura ordinaria da parte del Cdr della testata. Ieri pomeriggio ho appreso dalle agenzie di essere stato denunciato alla Magistratura ordinaria dal mio Cdr. Ho atteso 24 ore per verificare eventuali ravvedimenti che non ci sono stati. Essendo impensabile continuare a lavorare anche solo per un giorno con chi mi ha denunciato rassegno da subito le dimissioni dalla direzione del Tg La7».

L'accusa: comportamento antisindacale
Ieri l'Associazione Stampa Romana (Asr), d'intesa con il comitato di redazione, aveva dato mandato all'avvocato Bruno Del Vecchio di sporgere denuncia «per comportamento antisindacale (articolo 28 della legge 300/1970) contro l'emittente La7 e il direttore del Tg Enrico Mentana».
«La goccia che ha fatto traboccare il vaso - ha spiegato l'Asr - è stata il rifiuto del direttore di leggere nel Tg il comunicato della Fnsi che solidarizzava con lo sciopero dei poligrafici, indetto nell'ambito della mobilitazione di Cgil-Cisl-Uil e Ugl contro la manovra del governo Monti. Un rifiuto irricevibile e contrario a quanto previsto dagli accordi collettivi di lavoro».
«Non possiamo consentire ad alcuno - dice il segretario dell'Asr Paolo Butturini - di contravvenire alle regole sindacali. I dati di ascolto o l'innegabile professionalità di un direttore non possono fare da schermo alla violazione delle norme che la categoria, alla quale anche Mentana appartiene, si è data per garantire la propria autonomia e la difesa dei propri diritti. Ho personalmente e più volte richiamato il direttore del Tg de La7 a un comportamento più conciliante e al rispetto del contratto, mi dolgo che questi richiami siano caduti nel vuoto. Specialmente in questo momento difficile per il Paese e per la nostra categoria in particolare, possiamo discutere molte cose, ma non la tutela dei colleghi e i loro diritti sindacali così come sono normati nel contratto collettivo di lavoro».

La replica del direttore di ieri
Poche ore dopo il comunicato Enrico Mentana aveva replicato: «Sono rituali, che se mai hanno avuto un senso, certo non lo hanno ora. Faccio il giornalista e dò notizie per i telespettatori, non leggo comunicati di altri».
«Così come durante il tg non ho mai letto comunicati di Telecom, ovvero del mio editore, non vedo perchè - aggiunge - dovrei leggere quelli dei sindacati». «La Federazione della Stampa non può comportarsi come quelle aziende che pretendono - conclude Mentana - la pubblicazione dei loro comunicati».
 FONTE:http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-12-14/mentana-dimetto-direzione-143723.shtml?uuid=AaRlLDUE

2^parte..


Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
Ma non è una nazione
Scusate se insisto. Dopo la mia cartolina di ieri (http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=115&sez=120&id=42579), vi dò oggi ancora qualche (auto)testimonianza dell'inesistenza di un autonomo popolo palestinese – il che naturalmente non significa che non ci siano gli arabi in Giudea, Samaria e Gaza, oltre che nel territorio israeliano, solo che non sono una nazione nel senso europeo, che sono messi insieme dalla volontà di cacciare "gli ebrei" e che aspirano non a un loro stato, ma a fondersi nella "nazione araba". La differenza è grande, in termini di legittimità. Non c'è un piccolo popolo che lotta per la propria indipendenza, ma un gruppo etnico di 300 milioni di abitanti, sparso su un territorio gigantesco, quattro o cinque volte più vasto dell'Europa, che cerca di cacciar via un piccolo popolo di 7 milioni, arroccato su uno spazio poco più vasto della Lombardia.


Una mia amica mi segnala intanto che 31 marzo 1977 il giornale olandese Trouw pubblicò un'intervista con un membro del comitato direttivo dell'OLP, Zuheir Muhsin. Ecco le sue dichiarazioni: "Il popolo palestinese non esiste. La creazione di uno Stato Palestinese è solo un mezzo per continuare la nostra lotta contro lo Stato d'Israele per l'unità araba. In realtà non c'è differenza fra giordani, palestinesi, siriani e libanesi. Solo per ragioni politiche e strategiche oggi parliamo dell'esistenza di un popolo palestinese, visto che gli interessi arabi richiedono che venga creato un distinto "popolo palestinese" che si opponga al sionismo. Per motivi strategici, la Giordania, che è uno Stato sovrano con confini definiti, non può avanzare pretese su Haifa e Jaffa mentre, come palestinese, posso indubbiamente rivendicare Haifa, Jaffa, Beer- Sheva e Gerusalemme. Comunque, appena riconquisteremo tutta la Palestina, non aspetteremo neppure un minuto ad unire Palestina e Giordania".

Da un bel post su internet (http://www.melaniephillips.com/hey-stop-this-dangerous-candidate-hes-told-the-truth) trovo queste altre dichiarazioni:

- alle Nazioni Unite nel '56, il rappresentante saudita: "Tutti sanno che la palestina non è altro che la Siria del Sud".

- dopo la guerra del '67, Zuheir Muhsin, allora comandante militare dell'OLP : "Non ci sono differenze fra Siriani, Libanesi, Giordani e Palestinesi. Siamo tutti parte di una nazione. E' solo per ragioni politiche che noi badiamo a sottolineare la nostra identità palestinese...sì, l'esistenza di un'identità palestinese separata serve solo per ragioni tattiche. La fondazione di uno stato palestinese è un nuovo strumento per continuare la lotta contro Israele."

- statuto dell'OLP (quello stesso che chiama alla lotta armata come "solo mezzo di liberazione", che dice che la Palestina del mandato britannico è indivisibile e quindi esclude l'esistenza di israele ecc.: http://www.jewishvirtuallibrary.org/jsource/Peace/PLO_Covenant.html), art I: "La Palestina è la patria del popolo arabo palestinese, parte indivisibile dalla grande patria araba e il popolo palestinese è parte integrante della nazione araba. 

Ma non potrebbe essere che l'identità palestinese esista lo stesso, per così dire preterintenzionalmente, nonostante queste aspirazioni a fondersi nel grande mare arabo? E' una tesi che molti liberal americani sostengono. Una ottima risposta è in questo ragionamento di Daniel Greenfield (http://sultanknish.blogspot.com/2011/12/in-post-news-environment-media-no.html?utm_source=feedburner&utm_medium=email&utm_campaign=Feed%3A+FromNyToIsraelSultanRevealsTheStoriesBehindTheNews+%28from+NY+to+Israel+Sultan+Reveals+The+Stories+Behind+the+News%29):
"L'identità palestinese è piuttosto confusa. La definizione ufficiale di tale identità comprende solo quelle parti del Mandato sulla Palestina che Israele detiene. Le persone che vivono nella parte della Palestina del Mandato che è stata trasformata nel 1921 in Regno di Giordania  non sono rivendicate davvero come palestinesi [e non lo è il loro territorio]. Non vi è alcun invito a inserirli in uno Stato palestinese. Le persone che vivevano nelle zone di Israele che furono catturate da Giordania ed Egitto nel 1948 non erano [allora] considerate palestinesi, e non ci fu [allora] nessun appello per trasformare la terra che oggi comprende i cosiddetti "territori occupati" in uno stato. Ma nel 1967, quando Israele liberò quelle aree - solo allora  magicamente gli abitanti si sono trasformati in palestinesi.
Come  prendere sul serio queste sciocchezze? Supponiamo che io affermassi che c'è stato un popolo antico conosciuto come Floridiani il cui terreno sia stato sequestrato loro per fare alberghi resort e aranceti. Quale sarebbe il primo indizio che ci sarebbe qualcosa di sbagliato in questa teoria? Eccolo: Florida è un nome spagnolo che significa fiore. Palestina, che è un nome latino applicato dai suoi antichi conquistatori, deriva dal greco, presenta lo stesso problema. Quando gli ebrei ricostruirono il loro paese, non lo chiamarono Palestina, che era il nome usato dalle potenze europee. Lo chiamarono Israele. Gli arabi arrivati con l'ondata di conquiste che rovesciato il dominio bizantino non hanno avuto storia autonoma e non hanno scelto nessun nome per se stessi. [Quando, nel ventesimo secolo, hanno iniziato a rivendicare un'indipendenza,] hanno preso il nome latino usato dalle potenze europee e ha iniziato facendo finta che fosse una antica identità tribale, piuttosto che un nome geografico, che è stato usato dalle potenze europee per descrivere gli ebrei locali e arabi."

Insomma l'inesistenza di una nazione palestinese si può ricostruire dal nome stesso con cui essa è rivendicata. Come se gli italiani del risorgimento avessero rivendicato non l'Italia ma la "Welschlandia" (dal nome derogativo che i tirolesi danno agli italiani) o una Vlochia (una deformazione del nome polacco della nostra penisola), invece di rifarsi al nome latino della penisola. Con la differenza che il nome "Italia" è continuato a essere usato per secoli nella nostra cultura, mentre non ci sono tracce di "Palestina" nei testi arabi fino al ventesimo secolo inoltrato. Non è solo questione di aspirazioni politiche, ma della coscienza di sé che è necessaria all'esistenza di un organismo collettivo.
Ugo Volli

http://www.informazionecorretta.it/main.php?sez=90
'Palestina' è un termine che i sionisti hanno inventato 12/12/2011
'Palestina' è un termine che i sionisti hanno inventato
Cari amici,
avete letto ieri su IC della dichiarazione di Newt Gingrich per cui "il popolo palestinese è un'invenzione, non c'è mai stato" e il commento della redazione di IC (http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=6&sez=120&id=42566#.TuTXtf6wwjc.facebook; ma guardate anche qui: http://it.ibtimes.com/articles/25878/20111210/obama-gingrich-iran-palestina.htm). Io non voglio entrare nel merito della figura di Gingrich, almeno per il momento. Alle elezioni americane non voto e spero solo, per il bene dell'America oltre che per il nostro, che qualcuno riesca a sconfiggere Obama, il peggior presidente degli Stati Uniti dell'ultimo secolo alla pari con Carter: il merito principale che bisogna riconoscergli finora è stato di mostrare, anche se involontariamente, la vocazione comica del Premio Nobel per la pace.

Mi interessa però la reazione che ha suscitato questa dichiarazione di Gingrich. Per la parlamentare palestinese (di un parlamento peraltro che non si riunisce da anni e da anni è scaduto) Hanan Ashrawi, le parole di Gingrich mostrano che ha perduto ogni rapporto con la realtà (http://blogs.wsj.com/washwire/2011/12/10/gingrichs-palestinian-comments-draw-flak/). Saeb Erekat, consigliere del "presidente" dell'autorità palestinese e "negoziatore" (o meglio non negoziatore, visto che non va alle trattative da tre anni) per suo conto, ha detto che è "il commento più razzista che abbia mai sentito" (si vede che non guarda al televisione palestinese e  che non legge i suoi giornali). Il primo ministro della stessa Autorità, Salam Fayyad, che in mezzo ai suoi compagni probabilmente analfabeti spicca per essersi laureato in una mediocre università americana e quindi per sapere un po' di inglese, ha commentato che "Gingrich non sa nulla di storia", aggiungendo con tono saputo la seguente perla "il popolo palestinese è qui dall'alba della storia e intende restarci fino al suo tramonto" (http://lezgetreal.com/2011/12/palestinian-response-to-gingrich-remarks/). I concorrenti di Gingrich alla nomination repubblicana e l'amministrazione Obama hanno fatto capire che lo ritengono un estremista. Eccetera.

C'è un piccolo problema. Questo: a dire per primi che non esistevano come popolo, prima di sognarsi l'alba della storia e di sostenere che a Gerusalemme non c'era stato mai un tempio ma solo un parcheggio di asini volanti, sono stati proprio loro. Nel febbraio 1919, quando il primo congresso dell' Associazione musulmano-cristiana si riunì a Gerusalemme per scegliere i rappresentanti alla conferenza della pace di Parigi, fu adottata una risoluzione in cui si diceva fra l'altro "Noi consideriamo la Palestina come una parte della Siria, da cui non è mai stata separata. Siamo connessi con essa da vincoli geografici, storici linguistici e naturali".

"Nel 1937, un leader locale arabo, Auni Bey Abdul-Hadi, disse alla Commissione Peel, che alla fine suggerì la partizione della Palestina: "Non c'è nessun paese come la Palestina! 'Palestina' è un termine che i sionisti hanno inventato! Non c'è Palestina nella Bibbia. Il nostro paese è stato per secoli parte della Siria." Il rappresentante del comitato arabo superiore alle Nazioni Unite ribadì questo concetto in una dichiarazione all'Assemblea Generale nel maggio 1947, sostenendo che la Palestina è parte della provincia di Siria e gli arabi di Palestina non costituiscono un'entità politica separata. Pochi anni dopo, Ahmed Shuqeiri, che in seguito divenne presidente dell'OLP, dichiarò al Consiglio di Sicurezza: "E 'noto che la Palestina non è altro che la Siria del Sud.' " (questa citazione e la precedente vengono da http://www.jewishvirtuallibrary.org/jsource/myths3/MFroots.html).

Nel 1974 il Presidente siriano Assad (papà dell'attuale grande macellaio), anche se appoggiava l'OLP, dichiarò:  'la Palestina non è solo una parte della nostra patria araba, ma una parte fondamentale della Siria meridionale'. " (http://www.eretzyisroel.org/~peters/mythology.html, una pagina interessante sulla mitologia politica della Palestina; sulle origini del nome Palestina per l'antico territorio di Israele potete consultare utilmente http://www.palestinefacts.org/pf_early_palestine_name_origin.php). 


Infine una citazione un po' più lunga, ma molto significativa: " Significativamente, la visione della Palestina come Siria meridionale non era limitato alla Siria, dalla fine del 1918, quasi tutti gli arabi di Palestina accordo su questo punto. Il loro entusiasmo per l'unione con la Siria notevolmente aumentò la legittimità di questo concetto e lo re se duraturo. Le tre principali organizzazioni politiche in Palestina, il Club arabo, il Club Letterario, e l'Associazione musulmano-cristiana  (la mancanza di menzione della Palestina nel loro nome è significativa) - tutte lavorarono per l'unione con la Siria. [...] Amin al-Husayni era presidente del club arabo: 'estremismo che in seguito lo qualificò come leader del separatismo palestinese (e alleato di Hitler) già si era manifestato già nel 1920, quando istigava disordini per l'unione con la Siria. Un membro del club arabo, al-Kamil Budayri, fece uscire dal settembre 1919 il quotidiano al-Suriya Janubiya ("Siria Meridionale") per sostenere l'incorporazione della Palestina nella Grande Siria.  Anche l'Associazione musulmano-cristiana chiese l'incorporazione nella Grande Siria. Il suo presidente dichiarò che "la Palestina o la Siria meridionale, parte integrante di una e indivisibile Siria-non deve in nessun caso e per nessun motivo essere staccato". [...]. Musa Kazim al-Husayni, capo del Consiglio della Città di Gerusalemme (in effetti, il sindaco) ha detto a un interlocutore sionista nel mese di ottobre 1919: "Chiediamo che non ci sia nessuna separazione dalla Siria". Lo slogan sentito in tutto il mondo nel 1918-19 era "Unità, Unità, dal Tauro [Montagne in Turchia] a Rafah [a Gaza], Unità, Unità». [... ]

La rivendicazione siriana della Palestina  riemerse durante la Conferenza di armistizio del 1949, quando la Siria e Israele si accordarono per porre fine alle ostilità. Un delegato siriano dichiarò che "non c'è confine internazionale tra Israele e Siria. [...]  Dobbiamo firmare un accordo di armistizio non sulla base di un confine politico, ma sulla base di una linea di armistizio . "Ancora oggi, infatti, le mappe delle forze armate siriane non mostrano confine internazionale tra Siria e Israele, solo un confine "temporaneo" che separa la Siria da una regione chiamata Palestina [...] Più esplicite e notevoli ancora sono le dichiarazioni di Sabri Khalil al-Banna, noto come Abu Nidal, il leader estremista palestinese che dipende dal supporto siriano. Anche se apparentemente un separatista palestinese, Banna afferma ripetutamente che "La Palestina appartiene alla Siria. Come il Libano, sarà parte integrante di esso.[...]  Io sono un fervente credente nello Stato Maggiore siriano. . . . Noi [palestinesi] sono cittadini siriani. Per noi, la Siria è la nazione madre,  come vuole la storia, la società, la comunità, la geografia. [...] noi siamo veri cittadini siriani. [...] La Grande Siria è composta da Palestina, Iraq, Giordania e Siria.  Dalla frontiera turca a nord di tutta la Palestina, a sud." (citazioni da http://www.danielpipes.org/174/palestine-for-the-syrians).

Scusate la lunghezza di queste citazioni. Ma ne ho omesse molte altre e il tema è importante. Fino almeno alla guerra del '67 la Palestina non esiste, è un termine europeo che gli arabi locali non sanno in genere neanche pronunciare. La loro rivendicazione vera non è la costituzione di uno stato che non si era mai visto nella storia, ma il carattere arabo e quindi siriano del territorio. Non c'è un popolo palestinese indigeno da compensare, ci sono gli ebrei da cacciare dal territorio dell'Islam. "Palestina è un termine che i sionisti hanno inventato" e che fino all'indipendenza designa le loro istituzioni. Simpatico o meno, Gingrich ha ragione. Il popolo palestinese non è mai investito, è un'invenzione politica inventata per contrastare Israele. L'ideale politico che gli sta dietro non è l'indipendenza di un popolo, ma l'unità dell' Islam – non solo per Hamas, anche per i "moderati" di Fatah. Che questo fatto evidente e dichiarato molte volte dagli stessi leader "palestinesi" oggi sembri strano ai giornali e ai politici occidentali mostra quanto essi siano sottomessi all'egemonia culturale e politica  dell'islamismo.

Ugo Volli
www.jerusalemonline.com

DECAPITIAMOLI -3-

Maximilien Robespierre

M.Robespierre,Sui principi di morale e politica che devono guidare la Convenzione nazionale nell'amministrazione interna della Repubblica, 17 piovoso Anno II (5 febbraio 1794) in U. Cerroni (a c. di), La rivoluzione giacobina, trad.it. di F. Fabbrini, Editori Riuniti, Roma 1984, pp. 166-168.

La grande purezza dei fondamenti della rivoluzione francese, la sublimità stessa del suo oggetto, è precisamente ciò che ha fatto la nostra forza e la nostra debolezza. La nostra forza, perché ci dà la superiorità della verità sopra l'impostura e dei diritti dell'interesse pubblico sopra quelli degli interessi particolari. La nostra debolezza perché allea contro di noi gli uomini viziosi, tutti coloro che meditavano nel loro cuore di spogliare il popolo e tutti quelli che vorrebbero averlo potuto spogliare impunemente; sia quelli che hanno respinto la libertà come una calamità personale, sia quelli che hanno abbracciato la rivoluzione come un mestiere e la Repubblica come una preda. Da qui la defezione di tante persone ambiziose o avide, le quali, dopo la partenza ci hanno abbandonato lungo il cammino, per il motivo che non avevano iniziato il viaggio con il nostro medesimo scopo. Si direbbe quasi che i due geni contrari, che abbiamo rappresentato come disputantisi il dominio della natura, combattano in questa grande epoca della storia umana per fissare definitivamente i destini del mondo, e che proprio la Francia sia il teatro di questa terribile lotta. Al di fuori tutti i tiranni vi circondano, all'interno tutti gli amici della tirannia cospirano: cospirano finché al crimine non sia tolta perfino la speranza. Bisogna soffocare i nemici interni ed esterni della Repubblica, oppure perire con essa. Ora, in questa situazione, la massima principale della vostra politica dev'essere quella di guidare il popolo con la ragione, e i nemici del popolo con il Terrore. Se la forza del governo popolare in tempo di pace è la virtù, la forza del governo popolare in tempo di rivoluzione è a un tempo la virtù e il Terrore. La virtù, senza la quale il Terrore è cosa funesta; il Terrore, senza il quale la virtù è impotente. Il Terrore non è altro che la giustizia pronta, severa, inflessibile. Esso è dunque una emanazione della virtù. È molto meno un principio contingente, che non una conseguenza del principio generale della democrazia applicata ai bisogni più pressanti della patria. Si è detto da alcuni che il Terrore era la forza del governo dispotico. Il vostro Terrore rassomiglia dunque al dispotismo? Sì, ma come la spada che brilla nelle mani degli eroi della libertà assomiglia a quella della quale sono armati gli sgherri della tirannia. Che il despota governi pure con il Terrore i suoi sudditi abbrutiti. Egli ha ragione, come despota. Domate pure con il Terrore i nemici della libertà: e anche voi avrete ragione, come fondatori della Repubblica. Il governo della rivoluzione è il dispotismo della libertà contro la tirannia. La forza non è dunque fatta che per proteggere il crimine? E non è forse per colpire le teste orgogliose che il fulmine è destinato? La natura impone a ogni essere fisico o morale la legge di provvedere alla propria conservazione. Il crimine uccide l'innocenza per regnare, e l'innocenza si dibatte con tutte le forze nelle mani del crimine. Che la tirannia regni un giorno soltanto e l'indomani non resterà più un solo patriota. Ma fino a quando il furore dei despoti sarà chiamato giustizia, e la giustizia del popolo barbarie o ribellione? Come si è teneri verso gli oppressori e inesorabili verso gli oppressi! Nulla di più naturale: chiunque non odia il crimine non può amare la virtù. Tuttavia, occorre che l'uno o l'altra soccomba. «Indulgenza verso i realisti» gridano certuni. «Grazia per gli scellerati!» No: grazia per l'innocenza, grazia per i deboli, grazia per gli infelici, grazia per l'umanità! La protezione sociale è dovuta solo ai cittadini pacifici e nella Repubblica non vi sono altri cittadini se non i repubblicani. I realisti, i cospiratori, non sono che stranieri, per essa, o piuttosto dei nemici. Questa guerra terribile che la libertà sta sostenendo contro la tirannia non è forse indivisibile? I nemici dell'interno non sono forse alleati con i nemici dell'estero? E gli assassini che lacerano la patria all'interno, gli intriganti che comprano le coscienze dei mandatari del popolo, i traditori che le vendono, i libellisti mercenari che sono assoldati per disonorare la causa del popolo, per far morire la virtù pubblica, per attizzare il fuoco delle discordie civili e per preparare la controrivoluzione politica per mezzo della controrivoluzione morale: tutti questi individui sono forse meno colpevoli o meno pericolosi dei tiranni di cui stanno al servizio?

DECAPITIAMOLI

L'On.Mazzocchi (Pdl) svela il trucco: ma quale tagli. Aumenteranno stipendi deputati italiani

Antonio Mazzocchi, il questore del Pdl che riceve in uso gratuito l'attico sopra la sede parlamentare di Palazzo Marini e prende al tempo stesso 3.600 euro mensili di rimborso per le spese di soggiorno a Roma,  in un fulgido barlume di onestà, ha confessato pubblicamente quale sarà la vera strategia che metteranno in campo per impedire il taglio degli stipendi parlamentari. Mentre i giornali discutono da giorni del rimpallo tra governo e parlamento sull'adeguamento degli stipendi parlamentari alla media europea, Mazzocchi ha già pronta la soluzione al problema. Avevamo già denunciato nei giorni scorsi il trucco dell'adeguamento alla media europea, ma la conferma viene ora direttamente dalle parole di uno dei questori della Camera. Lo svela in questa intervista di domenica scorsa sul quotidiano romano Il tempo.

Il questore della Camera Mazzocchi: "Negli altri Paesi europei i deputati costano di più che in Italia. Abbiamo ridotto il vitalizio e gli aumenti dello stipendio sono fermi da anni".
 «Ma quale Casta! I parlamentari italiani costano meno che nel resto d'Europa». Antonio Mazzocchi (Pdl) è uno dei tre questori della Camera e non ci sta a rimanere vittima di quella che chiama «demagogia». Poi avverte: «Però alcuni tagli si possono fare».
Onorevole Mazzocchi, anche questa volta gli stipendi dei parlamentari si salvano.
 «Voglio sfatare un mito. Un deputato italiano costa allo Stato 20 mila euro al mese, uno francese 23 mila. Stessa cifra per tedeschi o inglesi. La differenza è che a un parlamentare che vive fuori Parigi, la Francia gli paga casa, studio e ben due assistenti. Da noi, invece, i soldi vengono dati direttamente agli onorevoli». Dunque il taglio dell'indennità è un falso problema. «La nostra indennità è già in linea con quella dei parlamentari degli altri Paesi europei».
 Solo demagogia e antipolitica?
 «La demagogia c'è perché gli elettori non vedono una classe politica qualificata. Nella Prima Repubblica i costi erano anche maggiori ma nessuno ha mai protestato. Adesso si esagera. Non vorrei che si compromettesse la democrazia e che in Parlamento entrassero soltanto gli industriali».
Torniamo ai soldi. L'indennità sarà anche meno di 5 mila euro ma poi c'è tutto il resto che porta la vostra paga mensile a 12 mila euro...
«Alcuni servizi la Camera dovrebbe gestirli direttamente».
 Come i soldi per l'assistente parlamentare? Sono 4 mila euro che vanno nelle tasche di ogni deputato, ma soltanto pochissimi li «girano» tutti alla segreteria.
«Lo so. Alcuni deputati danno pochissimi soldi ai loro collaboratori».
E poi, scusi, ma ha senso assegnare quasi 4 mila euro al mese a ogni onorevole per il «rapporto eletto-elettore» se c'è una legge elettorale senza collegi?
«È così. Ora i deputati sono nominati. Certo se cambiasse la legge sarebbe diverso. Per questo dico che alcune voci le dovrebbe gestire la Camera. Potremmo anche rimborsare i deputati soltanto dopo la presentazione delle ricevute».
 Ci sarebbero anche i soldi trasferiti ai partiti...
«Una parte dei contributi ai partiti si possono tagliare, si tratta di milioni di euro».
Ma lo stipendio no.
«Si può fare tutto, ma già ci siamo levati mille euro al mese e abbiamo bloccato gli aumenti dei nostri stipendi, che sono equiparati a quelli del presidente di Sezione della Corte di Cassazione. Inoltre abbiamo abolito i vitalizi. La decisione ufficiale arriverà il 14 dicembre. In ogni caso dal 1° gennaio 2012 si passerà al sistema contributivo».
Abbasserete gli stipendi ai dipendenti di Camera e Senato?
«Devono essere equiparati a quelli della pubblica amministrazione, con il riconoscimento della specificità, ma vanno ridotti».
FONTE:  http://isegretidellacasta.blogspot.com/2011/12/lonmazzocchi-pdl-svela-il-trucco-ma.html

martedì 13 dicembre 2011

Le altre caste nostrane (1/3): la casta diplomatica. L'ambasciatore italiano guadagna il doppio della Merkel

Doppi stipendi, svariati privilegi e clientelismo: ambasciatori e funzionari del Belpaese all'estero pesano sul bilancio dello Stato per 1,7 miliadi di euro l'anno.
L’ambasciatore italiano a Berlino guadagna il doppio della cancelliera tedesca. Lui si chiama Michele Valensise ed è l’ultimo ambasciatore nominato dal governo Berlusconi. Al pari di molti colleghi, dallo Stato Italiano percepisce circa 20mila euro netti al mese e governa una sede diplomatica con 58 persone. Lei si chiama Angela Merkel e dallo Stato tedesco riceve 9.072,43 netti per governare una nazione con 80 milioni di cittadini, la terza potenza economica del mondo. Lui 20mila e lei 9. Lui viene dall’Italia, il Paese dei doppi stipendi e dei privilegi che – poco se ne parla – proietta nel mondo il suo sistema di casta e lo propaga attraverso una fitta rete diplomatico-consolare, uffici di rappresentanza e istituti di cultura e lingua italiana all’estero.
IN ARRIVO UNA COMMISSIONE D’INCHIESTA?
Per fare chiarezza sui costi di questo carrozzone, un anno fa è partita un’indagine conoscitiva in Senato che si è allargata alla Camera e, alla luce del quadro che emerge e della ritrosia da parte del Ministero degli Affari
esteri a fornire dettagli, potrebbe evolvere presto in commissione di inchiesta. “Questo è un mondo in parte sconosciuto al Parlamento nel quale si annidano antichi privilegi, inefficienze, sprechi, nomine poco trasparenti”, denuncia il senatore Pd Claudio Micheloni, segretario della Commissione Esteri al Senato: “Ancora non sappiamo chi nomina chi, perché diamo tanti soldi a taluni e non ad altri. Ci sono situazioni oltre il limite come le retribuzioni per incarichi da autista che arrivano a seimila euro al mese”. Certo è invece il costo del carrozzone italiano nel mondo pari a 1,7 miliardi di euro che pesa per lo 0,1 per cento del Pil.
CON I RECENTI TAGLI SI RISPARMIA POCO
Il governo uscente ha affrontato la questione a suo modo. Senza intaccare i privilegi, ha optato per una razionalizzazione della rete consolare e ha disposto la chiusura di numerose agenzie e sportelli in Albania, Australia, Croazia, Egitto, Francia, Germania, Paesi Bassi, Slovenia, Svizzera, Stati Uniti e Romania. Sicuramente all’Italia degli ultimi vent’anni era piaciuto abbondare: tra ambasciate (126), rappresentanze permanenti (9), delegazioni diplomatiche speciali (1), uffici consolari (97), istituti di cultura (92) il nostro Paese ha ben 325 sedi estere, più dei cinquanta Stati Uniti messi insieme (271), più di Russia (309), Regno Unito (261) e Germania (230). Il problema, contesta però il centrosinistra, non è tagliare le sedi: “Questa scelta, anzi, indebolisce la rete di rappresentanza e non mette in discussione i veri costi eccessivi a carico del ministero degli Esteri”, sostiene Franco Narducci (Pd), vicepresidente della Commissione Esteri alla Camera. Un esempio arriva direttamente dall’annuario statistico del Ministero degli Affari Esteri (MAE): il nostro paese spende due milioni di euro più della Spagna che pure conta 21 sedi in meno.
In effetti il risparmio quantificato dai tagli di sede è poca cosa, ammonta a non più di 5 milioni e non modifica la struttura della spesa per il personale che, per quantità e trattamento economico, resta un’anomalia tutta italiana. Per contrastarla si stratificano disegni di legge che ne chiedono la modifica. L’ultimo è stato presentato, poche settimane fa, dal capogruppo della Lega alla Camera Marco Reguzzoni, che ha chiesto di ridurre le retribuzione dei diplomatici italiani, “i più lautamente retribuiti tra i colleghi europei ed extraeuropei”. Sul fronte Pd analoga proposta è stata quella dell’onorevole Marco Fedi, sempre con l’intenzione di mettere un freno a una spesa fuori controllo.
DENTRO L’ANOMALIA TUTTA ITALIANA
Senza fare nomi e usando la base di calcolo delle tabelle ministeriali, si desume che un ambasciatore italiano guadagna circa 300mila euro esentasse, più il fitto per la residenza, più la macchina di servizio, più maggiorazioni se con moglie e figli a carico, più indennità di prima sistemazione, spese di trasloco, stipendio metropolitano che continua a essere corrisposto. Con il cumulo di questi benefici facilmente conviene essere un diplomatico italiano piuttosto che il presidente francese Nicolas Sarkozy, che al mese percepisce 6.600 euro, o il presidente russo Medvedev che ne prende 4.860.
Il problema italiano, però, non deriva tanto dallo stipendio dei singoli diplomatici, quanto dal fatto che di questo trattamento “extra large” benefici tutta la base della piramide, cioè quel folto gruppo di dipendenti in missione che va dal funzionario al contabile, dal segretario all’autista. Un esercito che conta 906 diplomatici (di cui 522 all’estero e 387 in sede), 41 dirigenti, 3.457 addetti alle aree funzionali, 2.583 come personale di ruolo e 971 di ruolo presso altre amministrazioni. Con una perla tipicamente italiana: quando il personale di ruolo – diplomatico e non – è all’estero, incassa regolarmente sia la retribuzione per la missione, sia lo stipendio “metropolitano”, proprio come fosse a Roma. E questo trattamento vale per tutti i 4.752 dipendenti di ruolo (di cui 2.853 in missione all’estero, 1.989 nella sede centrale a Roma). Un privilegio per un Paese dove è sempre più difficile avere anche uno solo stipendio.
E la lista non è finita. Perché ci sono anche 2.400 dipendenti assunti a contratto, di cui 800 a contratto italiano ed il resto con contratto stipulato secondo la legge e le tariffe del Paese di accoglienza. L’anomalia italiana deriva dal fatto che più della metà di tutto il personale in servizio all’estero è mandato dall’Italia (circa il 60 per cento) ed il restante 40 per cento viene assunto e pagato con contratti e tariffe locali. Questo rapporto è invertito rispetto a quanto fanno tutti gli altri Paesi, che, al contrario, con punte fino all’80 per cento, privilegiano l’utilizzo di personale locale presso le loro strutture estere (nella misura dell’80 per cento), inviando in missione solo il 20 per cento dei propri organici. Questa inversione di tendenza del tutto italiana produce il doppio risultato di far lievitare i costi del personale e creare situazioni paradossali, spesso difficili da gestire, al limite del conflitto. Ci sono lavoratori che fanno la stessa cosa nello stesso posto ma uno guadagna meno del 10 per cento dell’altro. Succede all’ambasciata di New Delhi. Identica mansione, due stipendi diversi. Uno da fame, l’altro d’oro. Gli stipendi lordi corrisposti a un impiegato a contratto con mansioni esecutive di cittadinanza indiana è di 6mila euro lordi l’anno, contro i 54mila lordi percepiti per la stessa mansione dall’impiegato di nazionalità italiana assunto localmente e gli 80.000 euro (esentasse) di quello mandato in missione da Roma.
IL CASO DEGLI ISTITUTI DI CULTURA ALL’ESTERO
Un altro centro di spesa fuori controllo è quello degli Istituti di cultura italiani all’estero e delle istituzioni scolastiche, ben 383 centri, spesso utilizzati come parcheggi d’oro a vantaggio di persone nominate per via politica. Raro vedere in Italia un insegnante liceale che guadagna 54mila euro l’anno. Ma se è mandato all’estero, grazie al cumulo dei due stipendi, è possibile. E questo riguarda 430 unità di personale di ruolo, 74 dirigenti scolastici e 153 dipendenti APC (area promozione culturale). In tutto 657 persone per un parco di alunni pari a 31mila ragazzi ed un numero imprecisato di utenti presso gli 89 istituti italiani di cultura. Una situazione insostenibile.
Il senatore Micheloni ha preparato emendamenti alle prossime iniziative economiche del nuovo governo per rimodulare la spesa di tutto il comparto. Il primo propone proprio di richiamare gli insegnanti di ruolo che abbiamo mandato nel mondo perché siano reinseriti a costo zero nella scuola italiana ottenendo un risparmio dalle spese per indennizzo pari 18,5 milioni di euro. “Soldi che possono essere riallocati, tra gli altri, agli enti gestori dei corsi di italiano che usano personale in loco”. Il secondo prevede la riduzione del 15 per cento dell’ISE (Indennità di Servizio all’Estero) dei diplomatici e amministrativi di ruolo inviati all’estero, con un risparmio di 54 milioni di euro da destinare alla cooperazione, allo sviluppo e riduzione del debito. “Certo vorremmo anche sapere chi sono tutti questi funzionari, segretari, tecnici, contabili e insegnanti. E sapere secondo quali criteri di selezione sono arrivati a quelle posizioni”, lamenta il senatore.
IL RUOLO DELLA POLITICA
Si sa, invece, come arrivino al vertice i direttori degli Istituti italiani di cultura, veri e propri plenipotenziari con stipendi dai variabili da 14-15mila euro netti al mese a seconda della sede di destinazione. Perché accanto a funzionari di carriera che arrivano per meriti sul campo, la politica ci mette lo zampino. La Legge 401 del 1990 (art. 14 comma 6) permette al potente di turno di collocare ben dieci “personalità di chiara fama” nelle dieci più prestigiose capitali del pianeta. E qui abbondano le parentopoli e le amicizie, gli scambi di favore e i collocamenti in quota ai partiti.
Poi ci sono i “lettori” universitari, cioé i docenti di ruolo del Miur che vengono assegnati per un quinquennio nei dipartimenti di italianistica (ove questi esistano) di alcune università straniere. Sono 257 professori e godono di privilegi diplomatici e stipendi spesso superiori a quello di un docente universitario con cattedra di italianistica. Restano in carica 5 anni rinnovabili a scadenza.
Porre fine a questa situazione non è facile, perché occorre una riforma complessiva del sistema che si attende da circa dieci anni. Intanto però vengono fatti tagli dove si può. Spesso a carico di voci importanti come l’aiuto allo sviluppo. Ogni Paese contribuisce con una quota di spesa e l’Italia nell’ultimo anno è stata l’unica nazione a scendere passando dallo 0,20 per cento sul reddito nazionale lordo allo 0,15. Tutti gli altri salgono: la Gran Bretagna passa da 0,52 allo 0,56, la Spagna dallo 0,32 allo 0,43, gli Usa dallo 0,18 allo 0,21. Insomma, senza intaccare il costoso sistema dei privilegi si contrae la spesa che ci proietta in Europa e nel mondo tagliando sedi e disinvestendo sulla cooperazione.

Thomas Mackinson
(http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/12/10/casta-esportazione-diplomatici-italiani-guadagnano-merkel-sarkozy/176495)

FONTE:http://isegretidellacasta.blogspot.com/2011/12/le-altre-caste-nostrane-13-la-casta.html

ELOGIO DELLA GUERRA -3-

(continua)...il ruolo di regolatrice tra popolazione e risorse...
Oggi queste funzioni le svolge in parte l’economia, ma la guerra è più completa perché ha in sé anche la variabile del ribaltamento sociale; anche per questo la voglia di guerra supera il motivo economico ed è diffusa nella popolazione oltre che nei capi.
La guerra, come tanti altri, è un fenomeno periodizzabile in tre stadi: lo stadio arcaico, quello medievale e quello moderno. Nel primo periodo la guerra è condotta per necessità e per riequilibrare le risorse; è considerata come un avvenimento accidentale e non è sistematizzata in nessuna filosofia. Essendo la vita dura, la guerra non è intesa come un diversivo rispetto ad una vita piatta ed essendo la vita comune tutti gli uomini è intesa come simbolo stesso di virilità. Nel periodo medievale la guerra determina la formazione di una vera e propria classe sociale ( bellatores oltre che oratores e laborantes) ed è rappresentata dalla cavalleria pesante. In questo periodo la festa è molto simile alla guerra poiché le battaglie sono piene di regole e la guerra coinvolge solo chi è intenzionato a farla ed è cortese, moderata e non fanatica. Il guerriero assume notevole importanza perché il periodo è molto turbolento e molte volte l’uso della forza vince sulla ragione. Nel periodo moderno, che inizia circa con la rivoluzione francese, nasce il concetto della nazione in armi e ciò provoca il coinvolgimento nella guerra del popolo, dell’economia e della scienza. Questo tipo di guerra totalizzante mobilita l’intera nazione e spersonalizza il nemico in quanto questo diventa un bersaglio a cui sparare e ciò rende più facile ai soldati combattere.
L’apogeo di questo tipo di guerra è rappresentato dalle due guerre mondiali : il primo conflitto si delinea come guerra totale in quanto è combattuta con tutti i mezzi ma distingue tra la situazione del fronte e quella della società civile, il secondo conflitto invece è una guerra assoluta perché coinvolge davvero tutti gli aspetti della nazione facendo entrare davvero tutta la popolazione in guerra. In questi due conflitti per la prima volta il guerriero perde prestigio e il termine militarismo diventa spregiativo; ciò avviene perché le macchine superano l’uomo come potenza e gli impediscono quegli atti di eroismo tipici di tutte le guerre precedenti sottraendo così buona parte al protagonismo dell’uomo; però, anche in questi conflitti, i reduci sono felici di ciò che è accaduto e ciò dimostra ancora una volta che gli uomini son portati alla guerra.
Questa constatazione però non vuol dire che l’uomo è portato all’odio poiché questo non è l’essenza della guerra. Come si è già detto, il desiderio di guerra cresce con la civiltà e con essa cresce anche l’importanza dell’etica; ciò vuol dire che l’etica contribuisce alla formazione del desiderio di guerra poiché reprime l’aggressività; nella civiltà l’aggressività è stata sfogata anche con altri mezzi ed è stata contenuta dalla vita agricola. Nelle società moderne però l’aggressività sale perché lo stato esercita il monopolio della forza e esercita il controllo sull’aggressività dei cittadini per consentirla, almeno prima della Bomba, esclusivamente nella guerra. Nella società contemporanea inoltre l’aggressività è acuita dal crowding.
La società contemporanea sembra aver bisogno della guerra anche perché questa risveglia i valori di altruismo e di solidarietà, sviluppa il cameratismo, soddisfa i desideri di avventura della classe piccolo borghese, deresponsabilizza l’individuo che deve sottomettersi alla guerra non potendo influire sul tempo d’attesa , porta in luce i sentimenti essenziali e elimina la competizione di classe. Inoltre la guerra, con la presenza della morte, dà un enorme valore alla vita e rende la morte, in quanto violenta, morte feconda per l’umanità. La guerra determina anche l’autocoscienza individuale poiché mette alla prova l’individuo e ciò sarebbe molto utile nella nostra società in cui impera la crisi di identità. Oggi però la guerra è impossibile e per la prima volta si assiste ad un numero crescente di giovani pacifisti;infatti i giovani storicamente erano quelli più portati alla guerra mentre oggi ripiegano la loro vitalità verso il pacifismo o, come nel ’68, nella speranza di una rivoluzione imminente dove la Bomba è inutilizzabile.
La minaccia nucleare azzera la possibilità di guerra utilizzando l’equilibrio del terrore e fondando così la pace sulla minaccia di auto distruzione e quindi sulla possibilità potenziale di fare la guerra. Ciò porta ad un pacifismo obbligato basato sulla minaccia e quindi sulla violenza e porta anche ad un concetto di pace perpetua hobbesiana dove un super stato mondiale impone con la sua forza e la sua autorità una pace a lui favorevole. In questo caso si potrebbe parlare d pax russo-americana dove questi due super stati impongono la pace tramite il reciproco ricatto nucleare. Questa situazione di impossibilità di far la guerra fa proliferare le alternative del terrorismo, della guerriglia e dela guerra civile, soluzioni che permettono alle due superpotenze di combattere per interposta persona senza così dover ricorrere all’arma nucleare. Queste forme di combattimento però sono peggiori della guerra perché in primo luogo, non essendo legalizzate dai due contendenti sono lotte senza quartiere non controllabili e difficili da controllare a causa del loro carattere di violenza privata. Inoltre queste alternative, al contrario della guerra, sono caratterizzate dalla cattiva coscienza e dal rimorso in quanto molte volte colpiscono persone neutrali che non appoggiano in nessun modo uno dei due contendenti. Oltre a ciò, le alternative alla guerra si basano solo su una iusta causa che, finito il conflitto, può essere messa in dubbio provocando il rimorso. Per queste ragioni queste modalità di combattimento non soddisfano più alcune pulsioni legate alla guerra e aggiungono solo ulteriori pesi sulla coscienza. In occidente invece è impossibile condurre anche questi tipi di combattimento a causa del troppo controllo delle due super potenze, per questo si sono elaborate varie contromisure alla guerra che però si sono rivelate inutili o nefaste. La prima contromisura è costituita dal calo demografico che ha come conseguenza la minor presenza di giovani (i più portati alla guerra) nella società; questa contromisura però è bilanciata dal crowding che aumenta l’aggressività e quindi il bisogno di guerra. Un’altra alternativa è costituita dal permissivismo sessuale che dovrebbe stemperare l’aggressività. Una terza soluzione è il consumismo che, come una droga, tranquillizza la gente ponendola nell’agio e nella tranquillità costituita dall’avere tutto subito, però anche questa soluzione, come ogni droga, dopo poco diventa eccessiva e contribuisce ad esasperare l’aggressività. Anche lo sport serve a canalizzare la violenza e la stessa funzione è assunta dalle bande giovanili e dagli spettacoli violenti; queste istituzioni però sono insufficienti perché si limitano a far vedere la violenza(escluso lo sport) senza però lasciarla praticare. Un’altra modalità di sopportazione della mancanza della guerra è costituita dagli sport estremi che forniscono a chi li pratica il rischio senza però quella naturalità e inevitabilità proprie della guerra. Anche il potlach (emulazione autodistruttiva dove si sperperano risorse) è una valida alternativa alla guerra e la stessa corsa agli armamenti nucleari è un potlach; questo tipo di potlach però, basandosi sulla repressione dell’aggressività, contribuisce ad acuire la sete di guerra. Tutte queste contromisure sono quindi poco efficaci perché mancano della naturalità della guerra e a volte sembrano rischi inutili. L’assenza di guerra nella nostra società ha anche portato all’aumento della criminalità, dei suicidi, del problema della droga e delle nevrosi; ciò è avvenuto perché con la scomparsa della guerra, è venuta meno la solidarietà, portando così l’individuo ad una solitudine interiore; inoltre il singolo, non potendo più essere aggressivo, ha riversato questa aggressività contro di sé. L’assenza di guerra ha anche provocato l’aumento delle malattie dovute allo stress poiché, come hanno osservato molti reduci della prima guerra mondiale, in guerra lo stress sembra svanire( eccetto la nevrosi da fronte).
Nella società di oggi la guerra è stata uccisa dalla tecnologia poichè la Bomba ha impedito oggettivamente di condurre una guerra convenzionale. Prima delle società industriali infatti l’uomo e la tecnica erano in equilibrio poiché ogni guerriero possedeva la sua arma che però, pur essendo rispettata, non si sostituiva mai troppo all’elemento umano in guerra. La tecnologia ha cominciato a sostituire l’uomo con l’avvento delle armi da fuoco e l’ha sempre più messo da parte nell’epoca industriale poiché la macchina ha superato l’elemento umano. Prima della Bomba però c’era sempre il sistema arma-contromisura che permetteva la dialettica difesa-offesa tipico della guerra; con l’arma atomica questo sistema è saltato e ciò ha ammazzato la guerra. Concludendo, nel nostro secolo ci sono due importanti problemi: il primo è il fatto che l’Atomica può distruggere il mondo; il secondo è il fatto che la Bomba non lascia più condurre la vecchia, cara, onesta tradizionale guerra.

Decapitiamoli!-1-

Manovra finanziaria. Art.23: Stipendi parlamentari equiparati alla media Europea. Già bocciato. [Image]L'equiparazione degli stipendi parlamentari è un tema particolarmente in voga negli ultimi anni.Alcune associazioni hanno lanciato una proposta di legge di iniziativa popolare, ma fino a questo momento c'è solo l'ipotesi paventata già nella manovra estiva di Tremonti. Quella legge ha partorito in verità solo l'ennesima commissione governativa, la COMLIV (commissione per il livellamento retributivo Italia-Europa) che l'ha presa comoda, in tre mesi hanno svolto solo un paio di riunioni per definire quali sono i paesi europei, arrivando alla sconclusionata conclusione che la comparazione si baserà solo su sei paesi (Germania, Francia, Spagna, Paesi Bassi, Belgio e Austria), non a caso tra i più ricchi paesi europei.
Visti i tempi lunghi, nella manovra finanziaria di Monti è stato inserito il comma 7 all'art.23:
7. Ove alla data del 31 dicembre 2011 la Commissione governativa per il livellamento retributivo Italia – Europa prevista dall'articolo 1, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito dalla legge 15 luglio 2011, n. 111 e istituita con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 28 luglio 2011 non abbia provveduto alla ricognizione e alla individuazione della media dei trattamenti economici di cui all'articolo 1 del predetto decreto-legge n. 98 del 2011, riferiti all'anno precedente ed aggiornati all'anno in corso sulla base delle previsioni dell'indice armonizzato dei prezzi al consumo contenute nel Documento di economia e finanza, il Governo provvederà con apposito provvedimento d'urgenza.La manovra arriva in questi giorni alla Camera: in parlamento pochi margini di manovra, cambierà poco o nulla, assicura Monti. Ma intanto dalla Commissione Parlamentare Affari Costituzionali, già arriva il primo stop. Non andrà molto lontano il comma 7 dell'art.23 FONTE:http://isegretidellacasta.blogspot.com/2011/12/art23-stipendi-parlamentari-equiparati.html    

sabato 10 dicembre 2011

Eliminiamo o meglio liquidiamo ogni membro di:
  • HAMAS
  • HEZBOLLAH
  • Fratelli mussulmani
  • islamiconvinti

10.12.2011 Così Israele liquida i terroristi
Per impedire che attentino alla vita dei civili

Testata: Il Foglio
Data: 10 dicembre 2011
Pagina: 1
Autore: La redazione del Foglio
Titolo: «Così Israele 'liquida' i terroristi»
Sul FOGLIO di oggi, 10/12/2011, a pag.1, l'analisi molto accurata a cura della redazione, sulla ripresa del targeting killing contro i terroristi, 'sakum' in ebraico. Il titolo è: " Così Israele 'liquida' i terroristi ", con le virgolette alla parola 'liquida'. Non le discutiamo, ci stanno anche bene, ma IC prerisce toglierle, avendo scelto di riprendere tale e quale l'ottima titolazione. Ottima, ma senza le virgolette, come non le useremmo scrivendo legittima difesa.
Ecco il pezzo (complimenti all'autore):


Roma. L’uccisione di Assam Batash è “il ‘targeted killing’ di maggior profilo da molti anni”. Così scrive sul quotidiano Yedioth Ahronoth il veterano del giornalismo militare israeliano, Ron Ben Yishai, commentando l’operazione dell’esercito di Gerusalemme nella Striscia di Gaza. Terroristi hanno risposto lanciando missili sulle città del sud. Batash era uno dei leader storici delle Brigate dei martiri di al Aqsa, il braccio armato di Fatah, che ha congelato le attività in Cisgiordania pur rimanendo attiva a Gaza. Secondo l’intelligence israeliana, Batash voleva realizzare un grande attentato contro civili israeliani, come quello che ha portato a termine nel 2007. Israele ha riesumato uno strumento della lotta al terrorismo, le uccisioni mirate, che tanto scandalo ha generato all’epoca dell’uccisione del capo di Hamas, Ahmed Yassin. Negli Stati Uniti è uscito qualche mese fa un libro di Daniel Byman, “A High Price”; racconta la storia dell’antiterrorismo israeliano – delle sue vittorie e dei suoi fallimenti – dedicando un capitolo corposo ai targeted killing, (“sakum” in ebraico). Nel libro si identifica Mahmoud al Mabhouh, leader di Hamas legato all’Iran e ucciso nel 2010 a Dubai, come una delle ultime vittime di queste operazioni. Fra le rivelazioni di Byman c’è il ruolo che Daniel Reisner, il giurista israeliano che ha fornito le basi legali delle esecuzioni, avrebbe avuto nell’ispirare l’Amministrazione Obama contro Osama bin Laden e Anwar al Awlaki. Il libro parla delle conseguenze legali di queste “esecuzioni extragiudiziali”. Avi Dichter, ex capo dell’intelligence, ha dovuto cancellare le visite nel Regno Unito per timore di essere arrestato per “crimini di guerra”. In Spagna, alcuni magistrati hanno aperto inchieste contro gli israeliani e una simile minaccia pende anche alla Corte dell’Aja. Il libro spiega che l’attuale leadership israeliana ha forgiato le uccisioni mirate. Si calcola che a oggi Israele abbia realizzato 234 targeted killing. “Queste uccisioni funzionano”, scrive Byman nel libro. “Hanno costretto i leader sopravvissuti a vivere nascondendosi”. Neè un esempio il capo di Hezbollah, Hassan Nasrallah, che vive in un bunker in Libano e che è riapparso pochi giorni fa dopo due anni di clandestinità. Durante l’intifada Yaalon, allora capo di stato maggiore, andava in giro con il “taccuino”. Conteneva da 300 a 1.000 nomi di terroristi da eliminare, segnati con colori diversi a seconda della pericolosità: rosso, nero e verde. Ogni terrorista eliminato veniva cancellato da Yaalon con una “X”. Il libro racconta i modi usati per eliminare i terroristi, compreso un modellino della moschea di al Aqsa a Gerusalemme imbottita di esplosivo. “E’ un dilemma”, ha detto il generale Amos Yadlin. “Un terrorista sta per uccidere venti persone in un ristorante. Se facciamo saltare in aria la sua macchina, tre innocenti moriranno. Come lo giustifichiamo?”. Qui è intervenuto Reisner con le condizioni per le uccisioni: che l’arresto sia impraticabile, che gli obiettivi siano combattenti, che il governo approvi l’operazione e che ci siano poche vittime civili. Gli obiettivi sono noti come “bombe a orologeria”. Ehud Barak, attuale ministro della Difesa, nel 1973 a Beirut uccise di suo pugno tre terroristi che avevano preso parte alla strage di Monaco nel ’72. Barak ha anche diretto le unità “Cherry” e “Samson”: soldati travestiti da arabi che si infiltrano per uccidere terroristi. Nel libro parla Rami Gershon, fondatore di una di queste unità, la Dudevan: “Il nostro lavoro è liquidare. Se non liquido, un bus esploderà e allora diciassette bambini saranno liquidati”. Nel libro si spiega che Israele ha annullato metà delle operazioni per il rischio di un alto numero di vittime civili. Una volta c’era la possibilità di eliminare in un colpo il “dream team”: Ismail Haniyeh, Mohammed Deif e Yassin. Ma visto l’alto numero di bambini presenti sulla scena, l’esercito lasciò perdere. Si è fissato a 3,14 il numero “accettabile” di vittime civili per ogni terrorista. Giovedì, a Gaza, l’esercito ne ha lasciata a terra soltanto una. Un bilancio tutto sommato positivo per i duri standard dell’antiterrorismo israeliano.
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