guerra all'italico declino

FEDERALISMO; necessità italica di DITTATURA CORRETTIVA a tempo determinato per eliminazione corruzione, storture e mafie; GIUSTIZIA punitiva e certezza della pena; LIBERISMO nel mercato; RICERCA/SVILUPPO INNOVAZIONE contro la inutile stabilità che è solo immobilismo; MERCATO DEL LAVORO LIBERO e basato su Meritocrazia e Produttività; Difesa dei Valori di LIBERTA', ANTIDOGMATISMO, LAICITA' ;ISRAELE nella UE come primo baluardo di LIBERTA'dalle invasioni. CULTURA ED ARTE come stimolo di creatività e idee; ITALIAN FACTOR per fare dell'ITALIA un BRAND favolosamente vincente. RISPETTO DELLE REGOLE E SENSO CIVICO DA INSEGNARE ED IMPORRE

giovedì 27 ottobre 2011

MASTER Oscar GIANNINO..

L’eurocompromesso minimale

Più Sono passati i mesi, più abbiamo deciso di mantenere sul wall di Chicago-bog il video che trovate immutato praticamente dalla nostra nascita, dedicato all’illusione dell’eurosalvataggio. Non si è trattato di pigrizia, ma del fatto che fossimo ragionevolmente certi che l’euroarea si avviasse a una lunghissima serie di duifficoltà crescenti. Perché nei grandi Paesi fondatori – Germania in primis, l’euroleader, ma per ragioni diverse anche Francia e, naturalmente, Italia – la politica avrebbe stentato molto a dire la verità ai propri elettori. Sia a dire verità amare, come nel nostro caso, del tipo “abbiamo troppo debito, troppa spesa e troppe tasse, dobbiamo energicamente cambiare marcia”. Sia verità scomode, del tipo “cari tedeschi, più facciamo passare il tempo senza una decisione chiara in merito alla possibilità di insolvenza sovrana ora che sono i mercati attraverso gli spread e Cds  e non più l’Ecofin a misurare il rischio-Paese di ogni euromembro, più renderemop traumatica e onerosa sia la possibilità d’insolvenza, sia quella dei salvataggi”. E’ andata puntualmente così. Le decisioni di stanotte mutano il quadro? Azzardo una prima risposta: no, comprano tempo.
Perché penso che non mutino il quadro? Rispondo senza entrare in dettagli tecnici, che invece in un maxi accordo come quello di stabnotte sono e saranno a loro volta decisivi. Mi limito ad alcune considerazioni generali.
Senza l’accordo di stanotte, saltava l’euro in prospettiva. Ok, tedeschi e francesi l’hanno evitato. per il momento, difficile dire per quanto.
Sostengo tale tesi per le seguenti ragioni. Almeno quattro, ma si potrebbe arrivare senza difficoltà alla dozzina.
Primo, il cap dell’Efsf. L’Efsf potenziato e levereggiato per un tetto massimo di 4 rispetto ai mezzi propri resta de-li-be-ra-ta-men-te al di sotto della soglia di capitale necessaria a garantire che possa intervenire per maxi aiuti a un paese della taglia dell’Italia. In quel caso, il tetto massimo andava spostato verso 2 se non , meglio ancora, 3 trilioni di euro, invece di un trilione come nell’accordo odierno.  Come tedesco, ne sarei felice. Come italiano, so che questa è la spiegazione dell’invito di Draghi a non pensare che la Bce possa essere lei a risolverci i problemi. Come operatore del mercato, so che devo a questo punto spostare e concentrare proprio sull’Italia l’arbitraggio del selling, e se in Itaia non lo capiscono peggio per loro.
Secondo, il lender of last resort.  L’Efsf levereggiato attraverso la costituzione di un SPV privatistico capace di attirare capitali pubblici – fondi sovrani – e privati nel rafforzamento del proprio capitale fa entrare l’edificio europeo in una nuova terra incognita. Dire che il leverage è modesto rispetto alle prassi bancarie, come è statod etto stanotte per rassicurare la stampa specializzata, non è una risposta efficace.  Il problema non è che la leva resti al massimo entro 4 volte i mezzi propri, invece di 9 o 10. Il problema è che le banche hanno dietro di sè un garante di ultrima istanza, le banche centrali dei Paesi in cui sono incardinate. E anche la politica, che da anni a questa parte nella grande crisi finanziaria ha messo mano ai soldi dei contribuenti per far fronte alla necessità di salvataggi, nazionalizzazioni e  ricapitalizzazioni forzose. Chi è il lender of last resort dell’Efsf? La BCE? Secondo Trattati e Statuto, assolutamente no. Lo sarà di fatto? Ma allora estenderemmo ulteriormente i compiti impropri a cui la politica – riottosa e neghittosa – sta chiamando sempre più la banca centrale europea. Sempre per mascherare la verità ai propri elettorati, e ancora una volta non solo a quello italiano da parte del governo Berlusconi che pure non scherza.
Terzo, l’haircut greco. Il compromesso sul 50% comporta molti problemi. Riguarda i privati e le banche, esclude BCE ed EFSF. ma perché mai ilò mercato dovrebeb accettare l’idea di una valutazione mark-to-market solo dei titoli in pancia ai privati, e non ai soggetti europubblici? E’un’illusione, perché allorab il valore reale rispetto al nominale varrà di fatto per tutti, e in un Paese sovrano si risolbverebbe come negli Usa, cioè con una alluvione di nuova moneta. Ma la BCE non può e non deve. Di conseguenza, le ricapitalizzazioni bancarie contenute entro i 106 miliardi e richieste prioritariamente ai privati, secondo me  potrebbero essere larghissimamente ottimistiche. Negli Usa col TARP et suimilia la FED ha esteso per multipli i suoi attivi attraverso una gigantesca operazione di sospensione dal prezzo di intere classi di asset illiquidi, ma garantiva con gli operosi torchi della Zecca di Stato. Da noi no. Significa che saranno le banche e i loro clienti, a pagare asimmetricamente il conto degli sperperi di danaro pubblico. Al mercato non può piacere, per definizione. A me e a chi la pensa come me, tanto meno. Quarto:  zero sostegni alla crescita. Potrà dare meno fastidio a liberisti come noi, ma sta di fatto che l’Europa è nata costitutivamente distinguendo sacrifi a breve imposti per la convergenza su virtù di bilancio e produttività nell’economia reale, e sostegno invee offerto attraverso strumenti a comune finanziamento nel medio periodo ai membri impegnati appunto nella convergenza a breve.  Dacché siamo nell’eurocrisi del debito pubblico, l’Euroarea nonn riesce a trovare una modalità per le risorse necessarie ai salvataggi. Figuriamoci se pensa o propone piani di sostegno nel medio periodo ai Paesi obbligati alla convergenza. L’effetto è la durissima deflazione  greca. Pensare che il 120% entro ics anni di debito pubblico greco sul Pil rispetto al quasi 170% attuale sia un traguardo di stabilità, è una doppia illusione. Sarebbe comunque insostenibile per l’economia greca precrisi. Lo sarà ancor più per un Paese costretto per anni al segno meno, senza alcun aiuto o incentivo esterno alla sua crescita.
Conclusione. Abbiamo comprato tempo. meglio questo dell’armageddon. Forse. Ma restiamo in mezzo al guado. Né fallimenti liberi, di cui rispondono i governi di fronte agli elettori visto il deprezzamento verticale di asset che comportano. Né un’Europa politica, con un abbozzo di proprio debito pubblico e di una propria politica fiscale, nemmeno per le contingenze straordinarie.  Ergo, non stupitevi ma facciamo restare ancora il nostro video sul wall.
FONTE:http://www.chicago-blog.it/2011/10/27/leurocompromesso-minimale/

ma che minxia di primavera è?!

Giunge perfino alle orecchie progressiste il grido della guerra santa. Da Tripoli soffia il vento della sharia. si attendono le prime impiccagioni. Se i nuovi padri costituenti modelleranno la carta fondamentale della Tunisia sul diritto coranico, anche sulle spiagge della costa si rischierà la lapidazione per adulterio. Ohibò, diranno le radical-chic in cerca di toyboy esotici sull’isola di Djerba. Ci si aspettava che alle soglie del potere si avvicinasse Rachid Ghannouchi, ma finora lo avevano descritto come un moderato. Chissà quando scopriranno che ha duemogli e difende due istituti giuridici della grande civiltà islamica, la poligamia e l’uccisione dell’apostata. Il Corano le consente e, se violano i dirittiumani,tanto peggio per questi ultimi. Poi magari finisce la pacchia anche a Sharm el-Sheikh. Dipende tutto da come vanno le elezioni in Egitto, dove i sondaggi sembrano indicare un’affermazione dei Fratelli musulmani. Rimangono solo i bastioni algerino e marocchino e poi, davanti alle nostre coste, ci sarà un califfato aggressivo e minaccioso, che ha già costruito qualche testa di ponte nel territorio dei miscredenti, la “casa della guerra”, come dicono loro. Cioè l’Italia, che dovrà cedere a causa della dipendenza petrolifera.
MAMMA LI TURCHI!
Dal Fatto quotidiano fino alla Repubblica, dal Manifesto a Liberazione passando per l’Unità risuona oramai un solo grido: «Mamma li turchi!». Sommessamente, per non cadere nella pericolosa spirale dell’islamofobia. Mica sono delle Fallaci qualsiasi i direttori dei quotidiani di sinistra e i loro editorialisti. Però rischiano il contagio con quei titoli tipo: «Primavera araba, autunno islamico? » che campeggiava ieri sul quotidiano diretto da Ezio Mauro. Tranne quel punto interrogativo, lo si sarebbe potuto già leggere su Libero, oltretutto anticipato di diversi mesi. Tocca prendere le distanze. Ci pensa Bernard Guetta, con il suo commento sul risultato delle urne tunisine: «Ha vinto una destra reazionaria ma non è la jihad al potere». Guarda al bicchiere mezzo pieno di consensi ai partiti laici. Lo vede mezzo vuoto perché non solo l’altra metà dei voti sono andati al partito dei fondamentalisti islamici, ma perché la sinistra non è riuscita a unirsi. Divisa, rischia di soccombere dinanzi a «una destra tanto più preoccupante in quanto crede di avere ilmonopolio della morale». Insomma, l’islam è diventato di destra. Chissà come mai i Fratelli Musulmani organizzati, in Italia, sono soliti invece candidarsi per Sinistra e Libertà, nelle liste gentilmente messe a disposizione da Giuliano Pisapia eNichi Vendola. Finché sono in Italia, nella prospettiva della concessione del voto agli immigrati in funzione anti- Berlusconi, sono accettati come compagni e poi abbracciaticome fratelli. C’è anche chi è disposto a difendere il burqa, purché sia indossato qui, sul territorio italiano. Urge chiarimento con il deputato democratico, vicepresidente della commissione Affari costituzionali della Camera, Roberto Zaccaria, perché illustri la ragione per la quale si ostina, pervicace, a combattere contro la legge che vieta l’utilizzo del velo integrale, in questi giorni all’esame della Camera dei Deputati. È pur sempre un elemento di sharia. E una fatwa tira l’altra, com’è noto. Una spiegazioneper l’atteggia - mento bifronte della sinistra italiana, mediatica e politica, si trova. È che non riescono a prestare orecchio ai consigli che provengono dai moderati. Se una donna araba, come la parlamentare del PdL Souad Sbai, lancia l’allarme sul cancro dell’integralismo islamico che avanza, naturalmente non l’ascoltano. Èdi destra anche lei, in fondo.
JIHAD IN CASA NOSTRA
Hanno un’altra occasione, tuttavia. Provino a considerare la proposta di Gamal Bouchaib, presidente dei Musulmani Moderati, perché si adotti «un provvedimento che escluda la cittadinanza anche per chi si candida nel nostro Paese con partiti estremisti e jihadisti che non rispettano i principi di libertà e uguaglianza dell’ordinamento italiano». È il caso di Ennahda, le cui percentuali di successo all’interno della comunità dei tunisini immigrati in Italia sono largamente superiori al consenso nella madrepatria. Si sta allevando in Italia, insomma, la futura classe dirigente fondamentalista dei Paesi arabi. Solo quandosi autodeterminano a casa loro, il discorso cambia. Sembra una specie di neo-colonialismo di ritorno, dietro il quale si nasconde il timore egoistico di rimanere con i serbatoi a secco. Sui diritti umani si transige, purché gasdotti e oleodotti continuino a pompare.

 

FONTE:LIBERO - Andrea Morigi : " I tifosi della primavera si risvegliano nella sharia"

mercoledì 26 ottobre 2011





Valentina Colombo, donne in Arabia Saudita

ISLAM: LA SOLUZIONE E’ DONNA A PARTIRE DALL’ARABIA SAUDITA E DALLA TUNISIA 


Potrà sembrare strano, o addirittura assurdo, lanciare un appello a favore delle donne tunisine, cittadine di quello che fino a ieri era il paese arabo-islamico più laico, e delle donne saudite, ovvero le principali vittime dell’interpretazione più bieca e ottusa della sharia. Eppure ha un senso. Se Tunisia e Arabia Saudita sono agli antipodi come storia, sistema politico, risorse economiche, ebbene sono due paesi in cui la condizione della donna è messa a repentaglio da due interpretazioni apparentemente diverse, ma sostanzialmente simili dell’islam. La vittoria dell’estremismo islamico in Tunisia, nella fattispecie del movimento El Nahdha legato ai Fratelli musulmani mette in serio pericolo una tradizione di laicità che ha portato nel 1956 il neo insediato Habib Bourguiba a varare il Codice dello Statuto personale che ancora oggi è un unicum nel mondo islamico. Nel Codice si vietava senza mezzi termini la poligamia e si concedeva il diritto di ripudio alla donna. Nonostante il leader di El Nahdha Rached al-Ghannouchi, nei giorni successivi alla rivoluzione del gelsomino, abbia dichiarato di essere “per la democrazia, per lo statuto della donna in Tunisia che è il più moderno di tutto il mondo arabo”, che il suo “partito rappresenta un islam moderato e pacifico” vicino al al Partito della giustizia e dello sviluppo (l’Akp di Erdogan) in Turchia, resta sempre pur vero che nel Corano la donna vale la metà dell’uomo. Quindi la vittoria dei Fratelli musulmani darà sicuramente filo da torcere all’associazionismo laico femminile tunisino che è stato il primo a lanciare un grido d’allarme al rientro di Ghannouchi. Non va neppure dimenticato che lo scorso aprile quest’ultimo e il suo movimento sono riusciti ad ottenere dal Ministero dell’interno il permesso per le donne velate di farsi fotografare a capo coperto per la carta di identità. Lo scorso ottobre a Sousse, circa 150 chilometri a sud della capitale, si sono avute proteste dagli islamisti per il rifiuto di iscrivere una donna con il velo integrale. Ebbene, questo fa nascere in me grande preoccupazione per le donne tunisine cresciute e vissute in una tradizione laica che risale a ben prima dell’insediamento di Bourguiba. Dall’altra parte l’Arabia Saudita dove lo scorso 25 settembre il monarca Abd Allah ha pronunciato un discorso da molti definito storico davanti al Majlis al- Shura, ovvero l’organismo che affianca il potere assoluto del re e che propone le leggi. Il Custode delle due Sante moschee ha esordito fornendo le basi religiose alla propria scelta: “Una modernizzazione equilibrata nel rispetto dei nostri valori islamici è un’importante richiesta in un’epoca in cui non c’è spazio per i disertori e gli esitanti. La donna musulmana nella nostra storia islamica ha espresso opinioni e consigli corretti”. Segue la citazione di esempi di donne della storia dell’islam a partire dalla giovanissima moglie di Maometto Aisha, la Madre dei credenti, sino a Umm Salama, una vedova che si sposò con Maometto. In un paese in cui le donne, ancora oggi, non possono fare nulla, nemmeno ottenere la carta d’identità, se non dietro consenso del proprio “guardiano”, ovvero dell’uomo di famiglia, fa per lo meno sorridere la seguente affermazione: “Dal momento che rifiutiamo di marginalizzare le donne nella società in tutti i ruoli che rientrano nella shari’a, abbiamo deciso, dopo aver riflettuto con i nostri rappresentanti religiosi anziani e altri… di coinvolgere le donne nel Majlis al-Shura come membri, a partire dal prossimo termine”, ha dichiarato Abdullah, che ha aggiunto: “Le donne potranno concorrere come candidati nelle elezioni municipali e avranno anche diritto al voto”. Il discorso reale è tutt’altro che storico, perché, come titola il sito liberale Middle East Transparent, è tutto con il metodo “in shà Allah”, “se Dio vuole”, tipico del Regno saudita. Anche dieci anni fa il re aveva detto che le donne avrebbero dovuto svolgere un ruolo centrale nell’economia saudita. Da allora ci sono stati cambiamenti, molto graduali, nel timore di ripercussioni da parte dei religiosi più radicali. E così sarà anche in questo caso. Le donne che hanno manifestato e cercato in ogni modo di andarsi a iscrivere alle liste elettorali sino alla chiusura delle liste lo scorso 27 luglio, le donne che hanno lanciato una campagna per il voto alle donne, non sono andate a votare nelle recenti elezioni municipali del 29 settembre, ma dovranno attendere il 2015. D’altronde non dimentichiamo che gli uomini in Arabia Saudita hanno votato per la prima volta del 2005. Un fatto è certo: anche le associazioni femminili saudite non si accontenteranno di parole né di “concessioni” di diritti che sono universalmente riconosciuti come diritti fondamentali della persona. Come ha ricordato in un’intervista rilasciata ad al Jazeera Hatoon al-Fassi, docente di Storia delle donne all’Università King Saud di Riyadh e una delle sostenitrici più accese della causa del voto in Arabia Saudita, “le donne ora esigeranno la messa in pratica di queste promesse”, ma non solo, lotteranno con maggior accanimento al fine di vedere riconosciuti tutti i diritti che faranno di loro delle cittadine a pieno diritto. Anche Wajeha al-Huweidar, che da anni lotta affinché le donne saudite possano guidare, ha affermato che “si tratta di una grande notizia, ma che è giunto il momento di abbattere tutte le altre barriere che non consentono alle saudite di guidare e di compiere qualsiasi azione, ovvero di vivere una vita normale, senza un guardiano”. La pressione interna delle donne saudite dovrà comunque trovare alleati esterni, dalle ONG ai governi occidentali, dai mezzi di comunicazione alle istituzioni internazionali. Bisognerà iniziare ad anteporre i diritti umani fondamentali all’economia, bisognerà esigere la ratifica dei trattati e delle convenzioni internazionali senza se e senza ma. Basti pensare che nel 2000 l’Arabia Saudita ha ratificato la Convenzione per l’Eliminazione della Discriminazione contro le Donne (CEDAW) delle Nazioni Unite, con la seguente riserva “"in caso di contraddizione tra qualsiasi affermazione della Convenzione e le norme del diritto islamico, il Regno non è obbligato a osservare i termini contraddittori della Convenzione”. La strada è comunque tutta in salita. Il 27 settembre, ovvero due giorni dopo il discorso del re, Shaima Ghassaniya, una saudita riconosciuta colpevole di aver guidato senza il permesso del governo. è stata condannata a dieci frustate. Si è trattata della prima condanna del genere in Arabia Saudita, dove la guida non è vietata alle donne per legge, ma tramite editti religiosi. Molte donne erano state arrestate in precedenza, ma non avevano mai subìto condanne. Un'altra saudita che ha sfidato il divieto di guida, Najalaa Hariri, è stata interrogata il giorno precedente e sarà sottoposta a processo. Il 29 settembre il re Abdallah è stato costretto ad annullare la condanna di Shaima. "Grazie a Dio, la flagellazione di Sheima è stata annullata - ha annunciato su Twitter la principessa Amira Tawil, moglie del nipote del re e ricchissimo uomo d'affari Walid ben Talal -. Grazie al nostro amato re. Sono sicura che tutte le donne saudite saranno felici". La principessa Amita Tawil nel 2009 aveva affermato in un intervista al giornale saudita, Al-Watan, del suo sentimento di frustrazione per non poter guidare in Arabia Saudita, affermando che era pronta a farlo non appena il governo l’autorizzasse . " Sono pronta a guidare . Ho una patente internazionale e guido in tutti i paesi che visito" ha dichiarato, aggiungendo " vorrei guidare nel mio paese, con mia sorella o un’amica vicino a me al posto di un autista ". Le parole di una principessa, a mio parere, valgono poco. Vale invece lo sforzo delle attiviste legate alla campagna “Baladi” nata per portare le donne saudite al voto. Valgono le parole delle attiviste come Wajeja al- Huwaider e Fawziyya al-Uyyuni che qualche giorno fa hanno lanciato un drammatico appello perché hanno casualmente scoperto di essere state denunciate per motivi ignoti al commissariato di Khobar, nell’area orientale dell’Arabia Saudita. Sono convinta che la pressione interna delle attiviste e delle menti liberali saudite e tunisine e quella esterna dovrebbero fare fronte comune affinché non solo le donne residenti in paesi a maggioranza islamica, ma anche le donne musulmane residenti in occidente vengano considerate “persone” a pieno titolo e non solo persone che valgono la “metà” dell’uomo così come previsto in modo univoco e insindacabile dal diritto islamico.
ISLAM- DIZIONARIO
DONNE SAUDITE ALLA GUIDA.
Sono più di novantotto mila le auto registrate a nome di saudite ovvero il 25% delle saudite possiede un’auto. Ciononostante sono più di vent’anni che le donne saudite non possono guidare nel loro paese. E’ ormai tradizione che durante le vacanze alla fine del mese di Ramadan colgano l’occasione per recarsi in Bahrein dove possono utilizzare la loro patente di guida. Il tutto ha avuto inizio nel 1990 con una fatwa dell’allora gran mufti d’Arabia saudita, ‘Abd al-Aziz bin Baz. Va ricordato che in un paese come l’Arabia saudita, dove la costituzione è rappresentata dal Corano, una fatwa ha praticamente valore di legge. Nel frattempo qualcuno ha cercato di cambiare lo stato delle cose, ma invano. Nel maggio 2005 due membri del Majlis al-Shura, il parlamento saudita, Muhammad ibn ‘Abd Allah al-Zalafa e ‘Abd Allah Bukhari, hanno proposto di levare il bando alla guida per le donne al di sopra dei 35 anni all’interno dei centri abitati mentre in campagna solo se accompagnate. Lo stesso re ‘Abd Allah nell’ottobre dello stesso anno ha dichiarato che un giorno le saudite avrebbero potuto guidare, ma che la questione richiedeva pazienza. Il ministro della Difesa, il principe Sultan, venuto a mancare qualche giorno fa, ha affermato che la decisione spetta all’ambito familiare: “E’ una questione che riguarda i padri, i mariti, i fratelli” in poche parole i “guardiani” della donna. Non sono però mancate le voci dei liberali quale lo scrittore saudita ‘Abduh Khal che ha ricordato con una velata ironia che il codice stradale saudita non parla di genere del conducente per cui qualora una donna alla guida, rispettosa del codice della strada, venisse fermata da un poliziotto quest’ultimo non potrebbe farle nulla. Khal ha ribadito che si tratta di un divieto che non trova giustificazione né nel Corano né nei codici emanati dall’uomo in Arabia Saudita. Un’altra araba liberale, la poetessa Halima Muzaffar ha sottolineato in articolo pubblicato nel settembre 2007 che è il ricorso ad autisti stranieri che mette a repentaglio la sicurezza delle donne e dei loro figli perché “molti di loro sono stati inviati in Arabia saudita in quanto hanno la fedina penale sporca e sono stati cacciati dai loro paesi” e lancia una stoccata ai religiosi nel momento in cui sostiene che “è sorprendente che le persone che si oppongono alla guida delle donne consentono che la donna possa socializzare con degli sconosciuti” alla guida delle loro automobili. Ma a quanto pare per i religiosi conservatori è molto più pericolosa la libertà di movimento della donna. Lo shaikh Obaikan, teologo consigliere del ministero della Giustizia, sostiene, evidenziando la sessuofobia degli estremisti islamici, che “non c’è bisogno di levare il divieto di guida nelle città dove sarebbero esposte ai pericoli, alle violenze sessuali e quindi sarebbero causa di molti ingorghi stradali” e che quindi la polizia dovrebbe assumersi inutili responsabilità! Nel luglio 2005 in internet è comparso un comunicato di 138 teologi sauditi (http://alsaha2.fares.net/sahat/.ee6b2ff) in cui si sosteneva persino che la guida delle donne avrebbe potuto avere conseguenze sociali catastrofiche poiché avrebbe portato a situazioni compromettenti poiché ad esempio in occasione di un controllo della polizia le donne avrebbero dovuto sollevare il velo. In una fatwa pubblicata su www.islamonline. net lo shaikh Abd al-Fatah Ashur alla domanda riguardante la liceità della guida della donna musulmana in generale ha invece risposto che “se una donna obbedisce ai dettami divini quando esce di casa non c’è nulla di male se si mette al volante”, tuttavia precisa che la donna ha gli stessi diritti dell’uomo a patto che non si rechi in luoghi ambigui o pericolosi. In poche parole, sì alla guida delle donne, ma solo sotto stretta sorveglianza. Nel settembre 2007 le attiviste saudite Wajeha al-Huweidar e Fawziyya al- Uyyuni hanno costituito una Lega per promuovere il diritto della donna al volante. Per l’occasione hanno anche inviato una petizione al re, ma per ora nessuna risposta e nessun cambiamento. D’altronde quando la tradizione sociale viene avallata da una interpretazione letterale e conservatrice del Corano e quando i teologi detengono ancora il potere di dettare legge, tutto si complica enormemente. Ed è questo purtroppo il caso della “moderata” Arabia Saudita.
ISLAM- VOCI
WAJEHA AL-HUWEIDAR IN OCCASIONE DELLA FESTA DELLE DONNE 2008 “Oggi è la giornata mondiale della donna. La prima cosa che voglio fare è rivolgermi a tutte le donne che vogliono affermare i propri diritti. Spero che tutte le donne che non hanno ancora conquistato questi diritti combattano per ottenerli al più presto. Ovviamente sto guidando, ma lo sto facendo in una zona periferica dell’Arabia Saudita dove la donna può guidare, tuttavia nelle città, dove noi donne abbiamo veramente bisogno di guidare, ci è ancora vietato. In occasione della Festa della donna mi auguro che Sua Altezza il principe Nayef Abd al-Aziz, Ministro dell’interno, ci conceda di guidare al più presto. Noi siamo le donne che abbiamo sottoscritto la petizione che gli abbiamo fatto recapitare oggi affinché ci conceda l’autorizzazione a guidare nelle città. Molte di noi sono disposte a contribuire al miglioramento della condizione della donna che possiede la patente. Il problema, a differenza di quanto temono molti responsabili, non è una questione né politica né religiosa, bensì sociale. Noi sappiamo che molte donne saudite sanno guidare l’auto, ma non è loro consentito farlo. Se venissero aperte loro le porte e potessero uscire sarebbe più semplice estirpare questo pregiudizio che le riguarda e che le vuole inadatte a guidare. Per concludere spero che l’anno prossimo per la Festa della donna avremo ottenuto quanto richiesto”.
… purtroppo la battaglia continua ancora…

VALENTINA COLOMBO (Cameri, 1964) è docente di Cultura e Geopolitica dell’islam presso l’Università Europea di Roma e Senior Fellow presso la European Foundation for Democracy a Bruxelles. E’ membro del Comitato per l’islam italiano presso il Ministero dell’interno

http://www.informazionecorretta.it/main.php?sez=90
www.jerusalemonline.com

martedì 25 ottobre 2011

Master LUTTWAK about Silvio

Tunisia: primi dati, vittoria Ennahdha

Secondo le previsioni si conferma partito confessionale

 

(ANSA) - TUNISI, 25 OTT - I primi dati ufficiali che giungono dalle circoscrizioni tunisine confermano l'ampia vittoria di Ennahdha. Al momento solo tre delle circoscrizioni (tra le meno popolate) hanno completato le operazioni di scrutinio, quelle di Beja, Kebili e Tataounine e su 15 seggi complessivamente in palio, Ennahdha ne ha conquistati 7. Una tendenza che conferma quella del voto al'estero, dove il partito confessionale ha ottenuto 9 dei 18 seggi.
Fiamma Nirenstein - " Il burqa offende la donna esprimendo l’idea che essa sia impresentabile al mondo "

In occasione della discussione alla Camera dei Deputati sulla Proposta di legge: Sbai e Contendo: "Modifica all'articolo 5 della legge 22 maggio 1975, n. 152, concernente il divieto di indossare gli indumenti denominati burqa e niqab" riportiamo la dichiarazione dell’On. Fiamma Nirenstein, Vicepresidente della Commissione Esteri della Camera dei Deputati.
“Sono completamente favorevole alla proposta di legge dell’On. Souad Sbai che prevede la proibizione del burqa, del niqab e di ogni indumento che possa coprire le fattezze di qualunque essere umano in particolare della donna, del suo volto e del suo corpo. A parte che per molti commentatori mussulmani il burqa non ha a che fare con il Corano, ma con la più maschilistica delle tradizioni islamiste che purtroppo tengono la donna in stato di assoluta inferiorità il burqa cancella l’identità stessa dell’essere umano, offende la donna esprimendo l’idea che essa sia impresentabile al mondo, è di fatto una bandiera ideologica che spesso nasconde anche maltrattamenti, violenze, oppressione famigliari che a volte arriva sino al delitto d’onore. Basta leggere “Mille spendidi soli” di Khaled Hosseini per trovare la descrizione dell’orrore di chi indossa il burqa, stretta alle tempie da un peso insopportabile che le crea impaccio nei movimenti più elementari e disturbi permanenti all’udito, alla vista, all’equilibrio e all’umore, che arrivano sino allo stato depressivo. La paralo multiculturalismo non ci incanta: noi lo amiamo quando esprime libertà e non oppressione, parità della donna e non sottomissione e disprezzo. Per secoli la nostra civiltà ha combattuto contro la discriminazione sessuale non sarà per paura o per rientrare nel consenso del politically correct che oggi ci rinunceremo”.
www.fiammanirenstein.com
Il GIORNALE - Fiamma Nirenstein : " La primavera araba è un buco nero "

Fiamma Nirenstein


I risultati della rivoluzione araba detta “primavera” saranno del tutto diversi dalle nostre aspettative: certo il povero Muhammed Bouazizi che con tragica e spontanea mossa si immolò e dette fuoco ai regimi arabi corrotti non si sarebbe immaginato che le prime elezioni libere nel suo Paese, dove il numero di minigonne è il maggiore di quello di tutto il mondo arabo, sarebbero state vinte, come pare certo, dal partito islamico Ennahda, che si presenta come islamico moderato. Né l’inno alla non violenza che noi occidentali abbiamo cantato per l’insorgenza araba prevedeva nel suo immaginario un linciaggio feroce come quello di Gheddafi. Né si pensava che gli egiziani si sarebbero di nuovo attardati in un regime militare, con morti e violenze sulle donne. La rivoluzione araba è in fase di misteriosa transizione, ha la faccia di un’incertezza violenta e dello scontro millenario fra sunniti e sciiti, specie fra Arabia Saudita e Iran.
Abbiamo esclamato, noi occidentali, che si è aperto un mondo migliore. In realtà, con tutto il rispetto per l’aspirazione alla libertà che ha portato tanti giovani, tanti coraggiosi, a sfidare la morte contro orribili dittatori assassini come Gheddafi, se guardiamo negli occhi la realtà, è un buco nero. Abbiamo il dovere verso noi stessi e verso il mondo arabo di cercare di influenzarlo per quel che possiamo.
Sul terreno interno alle rivoluzioni, gli islamisti liberati dalla condanna al silenzio si presentano nelle più diverse varianti. Egitto, Tunisia, Libia, Siria, sono tutti luoghi in cui per lunghi anni si sono organizzati nella clandestinità e hanno raccolto larghi consensi nelle moschee. Alla lunga è possibile che, facendosi interlocutore a fronte di gruppi peggiori, Ennahda in Tunisia o la Fratellanza Musulmana in Egitto diventino interlocutori apparentemente praticabili nell’immediato, ma certo non amichevoli nel futuro.
A livello internazionale, la ricerca dei musulmani moderati è sempre stata popolare. Ma la Turchia, molto blandita, è ormai il migliore difensore dell’Iran e di Hamas, il peggior nemico di Israele, un Paese in lotta per l’egemonia e vedremo i risultati nel futuro. L’Arabia Saudita, disorientata dall’attacco che lambisce il suo territorio, investe molti soldi perché i “suoi” musulmani siano i vincitori. Ma i moderati sono davvero tali?
Se guardiamo al nostro investimento per esempio nel conflitto israelo-palestinese, non funziona: alla fine Hamas ha successi di popolo e Abu Mazen per emularlo rifiuta le trattative. È impressionante anche come Abu Mazen si sia entusiasmato per il ritorno dei prigionieri assassini terroristi scambiati con Gilad Shalit, e di come abbia già costruito loro, e quindi al terrorismo più accanito, un monumento ideologico (e anche economico: ha regalato a ciascuno 5000 dollari contro i 2000 elargiti da Hamas) che non potrà essere tanto facilmente rimosso. L’Arabia Saudita sarebbe gratificata dall’ascesa nelle rivoluzioni di un modello islamista che tiene a bada i salafiti e non rompe con gli americani, ma è un gioco scivoloso.
L’Iran, sostenitore di Assad, non è credibile nel sostegno delle rivoluzioni anche per la terribile repressione contro i propri dissidenti ed è a rischio nell’area mediorentale perché l’alleato siriano assediato gli mette in crisi anche il rapporto con gli Hezbollah in Libano. In Libia ha sostenuto Gheddafi per contrastare gli Usa, in Tunisia non ha influenza, e soprattutto i rapporti con gli Usa sono al punto più pericoloso a causa del complotto contro l’ambasciata saudita a Washington e dopo che le indagini sul nome di Gholam Shakuri, un alto ufficiale delle forze Quds, ne hanno fatto un sospetto in prima linea. Qualche consolazione l’Iran l’ha ottenuto da un’alleanza inedita con l’Egitto in concorrenza con i sauditi. Ma il suo scontro duro per l’egemonia è appena cominciato.
Una cosa è certa: la gratitudine verso il mondo occidentale, piani Marshall o meno, svanirà presto. I bisogni di questi Paesi, sempre ricchi di ogni bene solo per le loro elite corrotte, resteranno inesausti, nessun ritiro dall’Irak cancellerà l’antagonismo di un mondo che si sente ferito e incompatibile col nostro sui diritti umani, la condizione delle donne, l’antisemitismo, il cristianesimo. L’impero ottomano fu distrutto da noi occidentali, i mujahidin hanno cacciato i sovietici con l’aiuto americano, l’Irak e la Libia hanno messo fine con lo stesso aiuto alle loro dittature. Questo non ha cambiato la percezione dell’Occidente.
www.fiammanirenstein.com

A sti maiali scannateli senza alcuna pietà..ma prima ricambiategli il favore ideato dalla loro religione di pace su mogli, sorelle o chi più vi aggrada della loro stirpe..

"NELLA FILOSOFIA DELLA GUERRA NON PUO' MAI ESSERE INTRODOTTO UN PRINCIPIO DI MODERAZIONE SENZA INCORRERE IN UN ASSURDITA'. CHI SI SERVE DI  QUESTA VIOLENZA SENZA RIGUARDI,SENZA RISPARMIO DI SANGUE, ACQUISTA NECESSARIAMENTE UNA SUPERIORITA',SE IL NEMICO NON FA ALTRETTANTO" (Von Clausewitz)

Stupri islamici in Pakistan

Casi scioccanti avvenuti soprattutto nel Punjab

 
Stupri islamici in Pakistan
(ANSA) - ISLAMABAD, 25 OTT - Il numero di donne cristiane pachistane stuprate per costringerle a sposarsi e a convertirsi all'Islam ''e' in allarmante aumento'' secondo quanto denuncia un'Ong per i diritti umani. ''Sembra che nessuno oggi sia in grado di resistere alle minacce dei gruppi fondamentalisti pachistani'', si legge in un rapporto dell'Asia Human Rights Commission (Ahrc). La denuncia e' accompagnata da una lunga lista di scioccanti casi soprattutto nel Punjab.

FONTE:http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/topnews/2011/10/25/visualizza_new.html_667803308.html

Ma un governo di sinistra sarebbe INUTILE e DANNOSO!

 MASTER OSCAR GIANNINO: 



Dal prossimo numero di Tempi

Il direttore di Tempi mi pone una domanda che secondo me vorrebbe essere sdrucciolevole. Prima la domanda, poi il perché potrebbe essere scivolosa. Il quesito è: ammesso e non concesso che Berlusconi e il suo governo abbiano esaurito la loro spinta e capacità di governo, l’opposizione sarebbe forse in grado di adempiere appieno o comunque meglio a ciò che l’Europa ci chiede? Domanda chiara, chiarissima. Che potrebbe  sottindere una convinzione che avverto comunque in crescita, tra lettori e ascoltatori che mi prestano attenzione, e tra costoro in quelli che sono o sono stati elettori di centrodestra, e che pensano mi sia spinto negli ultimi mesi un po’ troppo oltre nelle critiche al governo. Molti di loro mi dicono infatti: con le tue critiche sei diventato un sostenitore della sinistra. O lo sei diventato per convinzione, e allora restiamo stupiti ma dovresti dire perché. Oppure lo sei comunque diventato di fatto, e in tal caso come sostenitore inconsapevole  sei per certi versi anche peggiore di uno che cambia liberamente idea. Poiché questo genere di obiezioni fioccano davvero, per esempio in molti sms in tempo reale sul pc quando ogni mattina vado in diretta su Radio24, rispondo alla domanda di Tempi con ancor più gratitudine, perché mi consente di chiarire un punto importante.
No, dal mio punto di vista non penso affatto che l’attuale arco eterogeneo dell’opposizione, dal Pd a Di Pietro alla sinistra antagonista che ha ritirato su la testa di fronte ai morsi della crisi e alla protesta che sale nelle piazze, sia o sarebbe meglio in grado di adempiere a ciò che ci ha chiesto l’Europa. O meglio: a ciò che responsabili uomini di governo avrebbero dovuto capire da mesi che andava fatto, per evitare che fosse comunque l’Europa a imporcelo con una poco gratificante e molto umiliante dimostrazione di superiorità nei confronti della nostra Italia. Il risolino di Sarkozy è rimasto sul gozzo anche a me, visto che si tratta di salvare le banche francesi assai più piene di carta pubblica di quelle italiane, tanto per cambiare esattamente come tre anni fa erano assai più piene di asset illiquidi di debito privato invece che pubblico. Proprio perché mi sta sul gozzo, ne avrei fatto volentieri a meno e da mesi sono stato tra chi ha chiesto al governo Berlusconi di azzerare le pensioni di anzianità risparmiando decine di miliardi di euro di spese correnti da destinare in parte all’abbattimento del cuneo fiscale, e di varare un maxipiano di cessioni immobiliari per abbattere lo stock di debito pubblico, e di centinaia di società pubbliche locali.
E’ evidente a chiunque sia un osservatore appena appena spassionato, che le opposizioni italiane attuali non sarebbero minimamente in grado di varare queste misure. La pensano diversamente, e non ne fanno mistero. Per l’abbattimento del debito pubblico pensano alla patrimoniale pescando nelle tasche dei cittadini – spero che il centrodestra non voglia fare lo stesso errore – e quanto al deficit pensano a tasse ancora più elevate di quelle aggiuntive introdotte quest’estate dal centrodestra, non certo a tagli di spesa né nelle pensioni né altrove. Vi è chi nel centrosinistra e nel Pd lo ammette del resto onestamente, e per esempio Enrico Letta proprio per questo ha ripetuto da mesi che nessuna coalizione oggi è in grado da sola di sostenere queste misure, ed è pe tale ragione che personalmente è a favore di un governo tecnico di emergenza che assuma sulle sue spalle l’impopolarità di misure che apparirebbero contrastanti le promesse del centrosinistra, come lo sono oramai risèpetto a molte promesse illusorie del centrodestra, vedi la posizione della Lega sulle pensioni.
Detto questo, per chi la pensa come me – liberale e liberista, antistalista non solo in generale ma perché convinto che da noi troppa spesa pubblica e troppo fisco rendano la crescita asfittica – la domanda vera è un’altra. Questa: bisogna pensare che parlare a voce alta delle magagne macroscopiche del centrodestra si fa un favore all’opposizione attuale che non è né liberale né liberista, oppure è due volte giusto farlo perché, oltre a puntare il dito nei confronti di fatti e responsabilità evidenti, è l’unico modo per immaginare un centrodestra domani capace di fare ciò che per mille ragioni e tutto quel che volte voi non è stato oggi in grado di fare? Ecco, io la penso proprio così. Penso che le idee che albergano nella mia testa e nel mio cuore vengono da prima di me e per fortuna mi sopravviveranno. Sopravviveranno anche alla cattiva prova data dal governo attuale. E perché sopravvivano meglio e non da sconfitto prigioniero dileggiato e incatenato al carro dello statalismo predatore – qualunque sia il diverso e rispettabilissimo ideale di giustizia sociale di chi ne sia invece convinto a differenza di me – allora bisogna non sottrarsi, al dovere della giusta critica anche spietata di Berlusconi e del suo governo. Solo così, chi la pensa come me sarà forse meno deriso domani. E in quel domani qualcuno avrà più possibilità di fare – da eletto in parlamento e da membro del governo – ciò che richiedono e pretendono i nostri princìpi e la nostra visione della persona e del benessere, della produttività e della globalizzazione mondiale, con tutta la sua carica di infinita umanità alla ricerca del riscatto che nel mondo nuovo dal mercato aspetta una risposta, non da economie pianificate e da megapatrimoniali a favore di Stati falliti.

FONTE:http://www.chicago-blog.it/2011/10/24/la-risposta-a-chi-dice-lavori-per-la-sinistra/
La mossa d'Israele, al di là della mano tesa, tendeva a dimostrare quanto sia controproducente una "politica " di chiusura fra due paesi motori dell'area.
Ma erdogan (lo scrivo piccolo quanto il suo valore assoluto) è troppo arabo per comportarsi da Leader di un paese dell'OVEST!
24.10.2011 Terremoto in Turchia, Israele offre il suo aiuto che viene rifiutato
Erdogan coerente col suo odio per Israele anche di fronte a una catastrofe naturale

Testata: Corriere della Sera
Data: 24 ottobre 2011
Pagina: 15
Autore: Elisabetta Rosaspina
Titolo: «Il terremoto devasta la Turchia: Oltre un migliaio di vittime»
Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 24/10/2011, a pag. 15, l'articolo di Elisabetta Rosaspina dal titolo "Il terremoto devasta la Turchia: Oltre un migliaio di vittime".

Recep Erdogan, Ehud Barack con Bibi Netanyahu

Come scrive Elisabetta Rosaspina, Israele "è stato uno dei primi Paesi a offrire aiuto alla Turchia ". Ma Erdogan ha preferito rifiutare, coerentemente con la sua politica anti israeliana. Meglio restare in difficoltà e sperare negli aiuti dei Paesi islamici che accettare l'aiuto dello Stato ebraico.
Ecco l'articolo:

La notte non ha concesso un minuto di tregua ai 380 mila abitanti di Van. La terra non ha smesso di tremare nella provincia orientale della Turchia, quasi al confine con l'Iran, dove alle 13 e 41 locali di ieri (le 12 e 41 in Italia) una prima scossa di 6,6 gradi della scala Richter ha segnato per la popolazione l'inizio di una tragedia già nota.
La spallata più forte, oltre i 7,2 gradi di magnitudo, ha dato il colpo di grazia a edifici già traballanti, ha tagliato la via di fuga agli inquilini di un palazzo di sette piani, ha abbattuto 80 case soltanto nella città di Ercis, a pochi chilometri dal capoluogo, ha fatto perdere il conto delle vittime. La prima accertata è una bimba di 8 anni che abitava nella provincia di Bitlis.
Cinquanta, cento, cinquecento, mille, diecimila: dal conteggio dei corpi che arrivano effettivamente negli ospedali si passa presto alle proiezioni su quello che sarà il bilancio finale, mentre i superstiti, arrampicati su montagne di macerie, scavano a mani nude tra i detriti nella speranza di disseppellire i familiari, gli amici, i vicini che là sotto stanno consumando gli ultimi residui di ossigeno e di speranza. Chi ha più di 35 anni, a Van, ricorda i 4.000 morti del 1976, sa che un terremoto così forte non concede sconti a chi non ha fatto tesoro delle lezioni passate e non ha imparato a costruire e ricostruire secondo le regole antisismiche. La profonda provincia turca non è il Giappone.
La povertà dei materiali edilizi presenta la fattura. Crollano case, dormitori, collegi, stazioni di servizio, le strade si riempiono di gente terrorizzata, di auto intrappolate in ingorghi incontrollabili. I sindaci di Van, Bekir Kaya, e di Ercis, Zulfikar Arapoglu, non possono fornire dati precisi, ma soltanto chiedere aiuto: «Servono medici, scavatrici, soccorritori» implorano ai microfoni di radio e televisioni. C'è da pensare a chi ancora può essere salvato, ai miracoli ancora possibili, prima di cominciare a piangere i morti. L'Osservatorio sismologico turco «Kandilli» di Istanbul individua l'epicentro del terremoto a cinque chilometri di profondità, sotto il villaggio di Tabanli. Le fonti internazionali, invece, parlano di 7 chilometri. Le ambasciate e i consolati stranieri iniziano l'ansioso appello degli stranieri che vivono o viaggiano nella regione.
A Van abita una famiglia italiana, tre persone, padre, madre e una figlia. Sono molto noti, vivono come missionari laici e con il loro lavoro di artigiani aiutano la comunità. «Sono salvi — parte il tam tam attraverso i frati armeni, il console italiano Igor Di Bernardini, a Smirne, l'ambasciatore, Gianpaolo Scarante, a Istanbul —. Stanno bene, ma hanno dovuto abbandonare la loro casa danneggiata».
Il telefonino della figlia, l'unico ancora funzionante, si scarica presto. Giusto il tempo di comunicare che dormiranno in auto, nonostante le temperature notturne già basse. Non si fidano di avere un tetto sulla testa dopo aver visto crollare un palazzo davanti ai loro occhi, mentre in macchina cercavano di uscire dalla città e dalla trappola più stretta formata dalle macerie e dai muri che si afflosciavano dietro di loro. Sono arrivati a Edrenit 18 chilometri più in là. Si sono accampati nella hall di un albergo, hanno atteso soccorsi che per molte ore non si sono visti.
Israele è stato uno dei primi Paesi a offrire aiuto alla Turchia, mettendosi alle spalle gli incidenti diplomatici seguiti all'assalto della marina israeliana alla flottiglia di attivisti filo palestinesi che l'anno scorso tentavano di rompere il blocco di Gaza. Il ministro della Difesa israeliano, Ehud Barak, ieri sera ha però detto ai microfoni della tv Channel 2 News: «Ho l'impressione che i turchi non vogliano il nostro aiuto. Fino a ora la loro risposta è stata negativa ma, se ci ripensassero, siamo pronti a fare la nostra parte».

lettere@corriere.it

sabato 22 ottobre 2011

Master LUTTWAK

Se Berlusconi non agisce subito si vari un governo trasversale"

Luttwak: "Usa preoccupati per l'Italia immobile"



Così, con la consueta franchezza che sfiora la brutalità, Edward Luttwak, consulente della Presidenza americana, attento osservatore del nostro Paese, interpellato da Tmnews, conferma dagli Usa le gravi apprensioni espresse questa mattina sul "Corriere della Sera" da Mario Monti.
Edward Luttwak Edward Luttwak


"I politici italiani con senso di responsabilità devono mettersi assieme per accelerare il risanamento dei conti dello Stato e lo sviluppo dell'economia produttiva. Bisogna fare in fretta. Non c'è tempo per aspettare le elezioni anticipate in primavera. Bisogna agire subito. E siccome il governo Berlusconi non sembra in grado di farlo, ci vuole un nuovo governo con le migliori personalità trasversali".

Così, con la consueta franchezza che sfiora la brutalità, Edward Luttwak, consulente della Presidenza americana, attento osservatore del nostro Paese, interpellato da Tmnews, conferma dagli Usa le gravi apprensioni espresse questa mattina sul "Corriere della Sera" da Mario Monti.

"Le autorità statunitensi - dice Luttwak - guardano con grande preoccupazione al circolo vizioso dell'economia italiana fatto di aumento degli interessi sul debito pubblico e di riduzione della crescita, che rischia di far affogare le banche e ridurre il credito per le imprese. Le difficoltà dell'Italia paralizzano l'Europa e rischiano di avere effetti molto negativi sull'economia globale. Ecco perché Washington segue con grande apprensione le vicende italiane". Che cosa si dovrebbe fare? "Bisogna agire con più decisione. La manovra da 58 miliardi non basta. Ci vorrebbe una manovra da 158 miliardi, una manovra all'inglese in grado di trasformare il circolo vizioso in circolo virtuoso, fatto di riduzione dei tassi, recupero di credibilità sui mercati, riduzione del debito pubblico, aumento del Pil. L'Italia potrebbe crescere del 4-5% se facesse le cose necessarie, potrebbe essere il Paese industrializzato più brillante".

Come si valuta a Washington la possibilità che il Governo Berlusconi possa guidare la riscossa del Paese? "Berlusconi non gode più la fiducia delle istituzioni americane. E sorprende la mancanza di reazione della politica italiana all'urgenza dei fatti".

E' per questo che il Presidente Obama non ha ringraziato l'Italia per la sua azione in Libia nel discorso all'Onu del 20 settembre? O si è trattato di una dimenticanza o, come qualcuno ha detto in Italia, di "una cafonata". "Nessuna dimenticanza, nessuna cafonaggine. Obama non ha ringraziato l'Italia consapevolmente, per non dare un tributo a Berlusconi, che tiene il Paese bloccato con una maggioranza immobile, non riesce a fare le riforme necessarie e non viene più invitato agli incontri dei leader dove si parla dell'Italia, come il recente vertice Sarkozy-Merkel, che il bravo ministro Frattini è stato pure costretto a criticare".

Ma poi, al vertice della Nato, il Segretario alla Difesa Panetta il ringraziamento all'Italia l' ha fatto e proprio oggi il ministro La Russa è in visita a Washington. "Proprio perché - dice Luttwak - quella di Panetta era una valutazione istituzionale sulla politica estera e di difesa italiana, che gli Usa apprezzano molto anche per il grande impegno dei militari italiani".

Ma quali sarebbero le misure da adottare subito? "Quelle di cui si parla da anni: liberalizzazioni, privatizzazioni, semplificazioni burocratiche, drastico taglio della spesa pubblica. Perché non si alza l'età pensionabile come negli altri Paesi europei? Perché non si tagliano le pensioni sopra i 4 mila euro? Perché i dirigenti pubblici italiani, a partire dal Governatore della Banca d'Italia - conclude Luttwak - hanno stipendi che sono il doppio o il triplo dei loro colleghi francesi, tedeschi e americani e spesso prendono anche ricche pensioni? Con che faccia chiedono aiuto agli altri europei che guadagnano meno di loro?".

Luogo santo?!..

SE così fosse perche mostrargli il cu..ehm..il sedere?!
Cazzate propagandistiche di arabi il cui unico scopo è la lotta agli ebrei...

FAIDE, L'impero della 'ndrangheta


Sono spesso distante dalle riflessioni di ByoBLU il Blogger milanese che seguo con attenzione.
Ma anche se lontano nel metodo sono spesso molto vicino allo scopo dei suoi post.
La "primavera Tunisina" ha vietato la visione di questo film..
beh che dire, continuo a sostenere di conoscere solo le stagioni atmosferiche...




Animazione di qualità per una donna in difesa della dignità femminile
Giancarlo Zappoli     * * * - -




Teheran, 1978: Marjane, otto anni, sogna di essere un profeta che salverà il mondo. Educata da genitori molto moderni e particolarmente legata a sua nonna, segue con trepidazione gli avvenimenti che porteranno alla Rivoluzione e provocheranno la caduta dello Scià.
Con l'instaurazione della Repubblica islamica inizia il periodo dei "pasdaran" che controllano i comportamenti e i costumi dei cittadini. Marjane, che deve portare il velo, diventa rivoluzionaria.
La guerra contro l'Iraq provoca bombardamenti, privazioni e la sparizione di parenti. La repressione interna diventa ogni giorno più dura e i genitori di Marjane decidono di mandarla a studiare in Austria per proteggerla.
A Vienna, Marjane vive a 14 anni la sua seconda "rivoluzione": l'adolescenza, la libertà, l'amore ma anche l'esilio, la solitudine, la diversità.
Sono rari i film di animazione in grado di far percepire al pubblico le difficoltà dell'esistenza di chi li ha ideati. Spesso impegno in difesa dei diritti e qualità grafica non convivono. In questo caso il connubio è perfettamente riuscito. Marjane Satrapi è riuscita a trasformare i quattro volumi di fumetti in cui raccontava, con dolore e ironia, la propria crescita come donna in un Iran in repentina trasformazione e in un'Europa incapace di accogliere veramente il diverso, in un lungometraggio di animazione di qualità. Ha anche un altro merito che le va attribuito: è riuscita a sfuggire alle sirene hollywoodiane che la volevano sedurre con la proposta di film in cui Jennifer Lopez sarebbe divenuta sua madre e Brad Pitt suo padre. Ha tenuto duro e ne è nata un'opera in bianco e nero (con lampi di colore) capace di raccontare un'infanzia e un'adolescenza al femminile comune e differente al contempo. Comune perchè tante giovani donne si potranno ritrovare nel suo percorso di crescita. Differente perchè la donna in Iran è (per chi ha dettato e detta le leggi) meno donna. Per una volta ci venga concessa una citazione diretta: vedere questa giovane regista non riuscire più a trattenere le lacrime nel corso di una standing ovation durata 15 minuti a Cannes dava la misura della difficoltà di una vita ma anche della necessità di non dimenticare lo springsteeniano "No retreat no surrender".
 
 Per vederlo clicca sul link:



 



giovedì 20 ottobre 2011

von Clausesiwtz: Sull'impiego estremo della violenza

Spiriti umanitari potrebbero facilmente pensare che ci sia un modo ingegnoso per disarmare o abbattere il nemico senza troppo spargimento di sangue e che questa è la vera tendenza dell'arte della guerra. Per quanto bello e buono ciò possa apparire, è un errore che va distrutto:infatti in cose così pericolose,e la guerra lo è in modo unico,gli errori peggiori sono proprio quelli che nascono dalla benevolenza.

Ad OVEST..crisi economica in DIFESA

..Una crisi
resa più frustrante da due differenti constatazioni: che a questo trend negativo corrisponde una decisa politica di espansione e riarmo delle nuove potenze asiatiche; e che spesso Golia, con tutto il suo strapotere tecnologico, non riesce a evitare la fionda di Davide, come lo “stupido” lanciarazzi RPG che ai primi di agosto ha fatto strage di oltre 30 SEAL imbarcati su un elicottero Chinook (a qualcuno
a Washington sono tremati i polsi alla notizia che vari sistemi missilistici antiaerei a spalla dell’arsenale
gheddafiano sono finiti all’ala africana di Al-Qaeda).
A riassumere bene il quadro, con toni brutali ma in buona misura realistici, è un recente commento del “Political Science Quarterly”, secondo il quale l’attuale amministrazione americana e quelle a venire dovranno affrontare la prospettiva di una “totale decadenza”; non sarà certo simpatico per Washington veder arrivare fra qualche settimana nel Mar dei Caraibi due unità navali iraniane in visita al Venezuela, seguite da una nave ospedale cinese.
Ancora più catastrofiche le parole di quel fustigatore di un’America Potenza Suprema che è Noam Chomsky,
secondo il quale la materiale insostenibilità della “sovraesposizione militare” degli Stati Uniti li condurrà a
un “suicidio globale”.
Oltre un trilione di dollari di tagli
“Oggi il nostro peggior nemico è il debito pubblico”, afferma il Joint Chief Chairman ammiraglio Mike Mullen. Il Pentagono lancia il suo grido di dolore e agita lo spettro di una National Security compromessa e di licenziamenti in massa nell’industria e tra le sue stesse file (l’Air Force sta lasciando a casa 6.000 addetti civili). Così ha fatto dalla fine della Guerra Fredda in poi ogniqualvolta si annunciavano tagli al suo bilancio (oggi assestato poco sotto la soglia di 600 miliardi di dollari), e del resto, com’è naturale, così fan tutte le Difese del mondo, da sempre,con maggiore o minore convinzione e cognizione di causa
(a Ferragosto in Italia, al lancio della manovra anticrisi, il ministro della Difesa Ignazio La Russa se ne è
uscito con questo ossimoro-barzelletta: “Se sarà necessario ridurrò gli investimenti, ma senza penalizzare l’industria”)

Enciclopediarmata:
  • RPG:
Ha una forma caratteristica, è riutilizzabile (come il Bazooka e a differenza di molti moderni razzi anticarro), dietro al tubo centrale ha un tromboncino per lo scarico dei gas a curvatura variabile, rivestito in legno, e possiede 2 impugnature, una per il grilletto, l'altra solo per controllare meglio il lanciarazzi.
Sono disponibili due sistemi di mira, uno con un elaborato reticolo che serve per dare l'anticipo giusto al tiro in caso di veicolo in movimento o di vento laterale, ed un altro (ausiliario) che calcola solo l'alzo in base alla distanza (quello del tipo sull'M72 come unico sistema). Una volta acquisito l'obiettivo e mirato, si lancia il razzo, che pesa circa la metà del lanciarazzi: 2,3 kg. Una volta fuoriuscito dal lanciatore il razzo raggiunge una velocità di quasi 300 metri al secondo, ruotando sul suo asse per stabilizzarsi, grazie alla forma delle alette. La cadenza massima di tiro è di quattro colpi al minuto.
La sua precisione è molto buona in caso di condizioni atmosferiche ideali, ma la traiettoria tende ad essere irregolare con forte vento laterale. Il razzo raggiunge il bersaglio e lo colpisce con una spoletta ad impatto piezoelettrica, che si attiva in base alla forza di impatto. Se il bersaglio è soffice o protetto da reti metalliche, spesso la testata non esplode, come in alcuni casi durante la guerra del Vietnam. Nominalmente la carica, nei modelli controcarro (poiché va tenuta presente anche l'esistenza di munizioni a frammentazione non controcarro, bensì specificamente antiuomo, come l'OG-7V), perfora 330mm di acciaio, ma in pratica, a seconda della distanza, essa può scendere anche di un terzo di tale valore. In termini di quello che si legge in un TRADOC (Training and Doctrine Command) dell'US Army, la testata può perforare 150mm a 60cm di distanza dall'esplosione e 100mm a 90 cm. A 3 metri è ancora capace di penetrare un blindato M113. I soldati trasportano in genere il lanciarazzi assieme a 3-4 razzi di carica, con 10kg di peso in totale.
La gittata contro bersagli fermi è nominalmente di 500 metri, 400 contro mezzi in movimento, ma è buona pratica limitarsi a circa la metà di tale distanza. La gittata massima è di 920 metri, poiché a tale distanza una spoletta interviene facendo esplodere il razzo, tanto che spesso, contro aerei e soprattutto elicotteri, gli RPG sono stati usati per ruolo antiaereo, con lo scopo di danneggiare grazie alle schegge delle esplosioni i velivoli a circa 1 km di distanza (più vicino, invece, si cerca il centro diretto).
Una versione interessante dell'RPG-7 è quella per truppe speciali, con la capacità di smontare in 2 parti il lanciarazzi. Altri dispositivi sono la disponibilità di eventuali sensori di visione notturna.

Utilizzo [modifica]


Soldato dell'Esercito nazionale afgano armato di RPG
L'RPG-7 è stato usato largamente dagli anni sessanta in poi, e molti paesi ne hanno fatto copie. Esso è un'arma di fattura elegante, potente, con molte parti fatte in legno di qualità, come il rivestimento del tubo lanciarazzi.
In azione, gli RPG hanno mostrato aspetti positivi, ma anche qualche limite. Sebbene questi lanciarazzi spesso colpissero il bersaglio, la detonazione non era sempre assicurata, causa difetti della spoletta e soprattutto la presenza di reti, sacchetti ecc. che ne inibivano il funzionamento, essendo essa piezoelettrica. Quando la perforazione avveniva, in veicoli come gli M113, il piccolo foro della carica cava trapassava spesso il veicolo senza fare molti danni, anche perché i soldati avevano l'abitudine di stare sopra il mezzo piuttosto che dentro.
In somalia, i somali non avendo armi antiaeree spararono con gli RPG contro un UH-60 Black Hawk abbattendolo su Mogadiscio, come descritto nel film Black Hawk Down, perché gli elicotteri statunitensi erano abbastanza protetti dal fuoco delle armi leggere.

Munizioni alternative [modifica]

L'aggiornamento dell'RPG è facile: nuove munizioni non hanno bisogno di fare altro che entrare nel tubo di lancio, le testate restano fuori e possono aumentare a dismisura. La munizione PG-M è molto più lunga, pesante e potente, con circa 350-400mm di perforazione. La munizione OG-7V è caratterizzata dal particolare uso prevalentemente antiuomo (non utilizzata, quindi, in funzione anticarro contro corazzati o veicoli). La PG-7VR è l'ultima e più potente delle munizioni giunte nella quarantennale storia di questo lanciatore: ha una testata a carica cava in tandem, con un calibro di ben 105mm per la maggiore e una più piccola, forse da 80mm. In tutto, esso perfora circa 650mm.
La differenza è notevole: l'RPG-7 base ha difficoltà a perforare i fianchi di carri armati dotati di pannellature laterali, sopra i cingoli, che danno una distanza dallo scafo di 70-80cm, e quindi riducono molto la possibilità della carica cava di perforare i 5-8cm di acciaio laterali. La conseguenza è che il razzo non ha che poca forza distruttiva per danneggiare gli interni dello scafo, e se l'angolo d'impatto supera i 15 gradi sulla perpendicolare della fiancata, allora sarà molto difficile superare la corazza, per non parlare della presenza dei cingoli e dei rulli guidacingoli. Contro la torretta, l'eventuale presenza di cassetti porta dotazioni sui lati della torre, combinata con lo spessore della stessa, ha anche in questo caso molte possibilità di bloccare l'RPG-7. Paradossalmente, la corazza frontale, pur essendo più inclinata e spessa, ma non spaziata, potrebbe essere più vulnerabile, ma con l'avvento delle corazzature composite anche questo finisce per diventare pressoché impossibile.
Con la PG-7VR, se non con la PG-7M e V, la possibilità di perforare la corazza laterale dei carri armati, anche dei più moderni, è assicurata fino ad almeno 40 gradi di angolo d'impatto, mentre i carri senza corazza reattiva o protezioni composite devono temere tale ordigno anche frontalmente. Si tratta dell'evoluzione di un'arma che deve stare al passo con i tempi, e i carri hanno avuto molti miglioramenti della protezione. Tuttavia questa munizione sembra ancora relativamente poco diffusa.

Tipo 69 e Tipo 69 A1 [modifica]

Il Tipo 69 e il derivato Tipo 69 A1 sono copie della prima versione dell'RPG-7 russo prodotte in Cina.
La versione cinese fu quella preferita dagli Afghani durante l'invasione sovietica dell'Afghanistan, in quanto più leggera e soprattutto con una maniglia di trasporto a metà del tubo lanciarazzi, che consentiva un trasporto molto agevole anche senza la tracolla.

Monopolisti a loro insaputa/1: le ferrovie

“SJ Ab (SJ) is wholly owned by the Swedish State and operates under market conditions and requirements”.
Così è scritto nel bilancio annuale dell’operatore pubblico che svolge il servizio ferroviario in Svezia. Si può dire altrettanto di FS? Anche l’azienda pubblica italiana è posseduta al 100% dallo Stato. Opera a condizioni di mercato? I lettori di Chicago-blog sanno che non è così mentre i lettori dell’intervista dell’Ad di FS Mauro Moretti a Corriere Economia di lunedì scorso potrebbero convincersi dell’opposto, a maggior ragione se non hanno occasione di viaggiare sui treni italiani. E’ allora opportuno rileggere assieme l’intervista per commentarne alcuni passaggi.
L’Indice delle liberalizzazioni dell’Istituto Bruno Leoni, per i treni, è di 36 su 100. Dieci punti in meno del 2007. Mercato chiuso?
«Niente affatto, tant’è vero che a Bruxelles l’unico esponente privato presente era l’italiana Ntv di Montezemolo. Siamo l’unico Paese dove per il traffico passeggeri gli operatori stranieri non devono firmare accordi di reciprocità. I treni merci sono già completamente liberalizzati e quelli passeggeri arrivano a Milano dalla Francia con Sncf, a Bologna e Venezia dal Brennero con Deutsche Bahn e l’austriaca Obb. Siamo in quattro sul mercato: noi, francesi, tedeschi e austriaci.
Il mercato ferroviario italiano non è completamente chiuso ma è distante anni luce dal mercato ferroviario svedese, quello sì completamente liberalizzato:
  1. In Svezia nell’aprile 2010 è stato introdotto un regime di “open access” per il quale qualunque operatore ferroviario titolare di licenza rilasciata da paesi comunitari può chiudere al gestore della rete qualunque traccia oraria.
  2. In Svezia la rete ferroviaria è stata scorporata dal gestore del servizio ferroviario nel lontano 1988, diversi anni prima che le direttive comunitarie iniziassero a chiedere almeno la separazione contabile tra le due attività. Dal 1988 l’azienda pubblica per la gestione della rete, Banverket, è totalmente separata e indipendente dall’azienda pubblica SJ che gestisce il servizio. Nel 2010, inoltre, la rete ferroviaria è stata incorporata nel nuovo gestore unico delle reti di trasporto, Trafikwerket, il quale ha competenza anche sulla rete stradale e su porti e aeroporti.
  3. In Svezia vi è da molti anni un regolatore pubblico indipendente per l’intero settore dei trasporti: Trasportstyrelsen.
  4. In Svezia ogni servizio ferroviario che necessita di sovvenzione pubblica è da molti anni obbligatoriamente assegnato tramite gara, regola che ha aperto il mercato ad aziende diverse da SJ, riducendone in conseguenza considerevolmente la quota di mercato. Come si può leggere nella relazione di bilancio: “SJ is a customer-oriented, modern and profitable travel company that manages 55 percent of the total train traffic in Sweden”.  55%  del traffico in capo a SJ implica che ve ne sia un altro 45% in capo a operatori diversi e concorrenti rispetto a SJ. Questa è la miglior prova che non solo il mercato svedese è pienamente liberalizzato da un punto di vista legale ma che è anche effettivamente aperto alla concorrenza.
E l’Italia? Nel 2009, come si può leggere nel più recente Conto Nazionale dei trasporti, hanno viaggiato sulla rete gestita da FS 323,4 milioni di treni-km dei quali 307,2 milioni, corrispondenti al 95% del totale, sono stati prodotti da Trenitalia. E’ evidente che tra il 95% di Trenitalia e il 55% della svedese SJ passa un po’ di differenza. Ancora più interessanti i dati relativi alle merci e ai viaggiatori trasportati in Italia: per quanto riguarda le merci nel 2009 Trenitalia ha trasportato 15,2 miliardi di tonnellate-km mentre gli operatori privati titolari di licenza altri 4,1 miliardi. Le corrispondenti quote di mercato sono state dunque del 78,6% per Trenitalia e del 21,4% per gli operatori concorrenti. Si può dire quindi che nel trasporto merci la concorrenza abbia prodotto risultati apprezzabili. E nel trasporto passeggeri? Nel 2009 hanno viaggiato con Trenitalia 44,4 miliardi di passeggeri-km mentre con operatori alternativi titolari di licenza hanno viaggiato solo 48 milioni. La quota di mercato di Trenitalia è stata quindi del 99,9%! Non male, trattandosi di un mercato nel quale i competitori risulterebbero ammessi. E’ evidente che non bastano alcuni TGV inviati da SNCF a Milano o alcuni treni inviati da Deutsche Bahn nel Lombardo-Veneto, peraltro all’insaputa dei viaggiatori italiani, a fare di un mercato non del tutto chiuso un mercato sul serio liberalizzato.
Altre due domande di Alessandra Puato a Mauro Moretti:
Avete due società in Germania, 7x Logistik e il gruppo Netinera.
«E vanno bene. Tx Logistik, che porta merci dal Nord al Sud, ha redditività netta del 7%. E con Netinera, che fattura 500 milioni, facciamo servizio universale fino a Praga. In Germania poi abbiamo appena vinto due gare, una sulla rete Heudekreuz da 300 milioni e una a Ostbayern da oltre mezzo miliardo».
Dopo la rottura con Sncf, socia di Ntv, in Francia vi siete invece alleati con Veolia, la rivale. Vendetta?
«Necessità. L’11 dicembre partiamo con il Venezia-Parigi. Non lo facciamo più con Sncf, abbiamo dovuto scegliere un altro. Ma il mercato francese resta bloccato. Abbiamo chiesto di fare il Bruxelles-Parigi e il Milano-Parigi sull’Alta Velocità, non ce li danno».
Queste risposte sono interessanti per diversi motivi: 1) In Germania FS fa trasporto merci e guadagna. Perché allora in Italia registra sulle merci perdite consistenti che gravano sul contribuente/azionista forzato di FS? 2) In Germania FS fa servizio universale sovvenzionato e vince gare al riguardo. Potrebbe Deutsche Bahn far lo stesso in Italia? Ovviamente no: il servizio regionale sovvenzionato in Italia è prerogativa di FS. Perché allora Moretti quando chiede reciprocità a SNCF sul mercato francese non la offre per il trasporto regionale italiano? Ulteriori domande: i) FS in Germania adotta lo stesso contratto di lavoro di Deutsche Bahn? ii) FS trae vantaggio dal mercato ferroviario tedesco liberalizzato, perché allora i consumatori italiani, quelli del trasporto regionale in particolare, non possono trarre vantaggio da un mercato italiano egualmente liberalizzato?
Per concludere. Vi sono da un lato mercati legalmente e solo apparentemente liberalizzati e dall’altro lato mercati legalmente ed effettivamente liberalizzati: Svezia, Germania e, ovviamente, Gran Bretagna appartengono al secondo gruppo, l’Italia per ora appartiene ancora al primo: in Svezia il 45% dei treni è offerto da operatori diversi dall’incumbent, in Germania il 20,3%, in Italia solo il 5% e le regole attuali non sono tali da favorirne un rapido incremento. Anche se noi guardiamo alle liberalizzazioni con ottica deontologica, osservandole come un bene in sé perché accrescono le libertà per tutti i soggetti economici anziché riservarle solo ad alcuni, non dobbiamo trascurarne le conseguenze che sono, ovunque le liberalizzazioni siano state realizzate, di segno positivo e di entità consistente. Un breve confronto ferroviario tra tre paesi:
1) UK: totale privatizzazione degli operatori ferroviari (1995),regolazione indipendente del mercato, assegnazione tramite gare per tutti i servizi sovvenzionati. Risultati: aumento dell’85% del traffico passeggeri tra il 1995 e il 2010; aumento della quota modale del treno dal 4,8 del 1997 al 6,8% del 2009.
2) SVEZIA: imprese ferroviarie a totale controllo pubblico ma separazione netta tra rete e trasporto già nel 1988, graduale liberalizzazione del mercato nel tempo completata nel 2010 (qualsiasi operatore può chiedere ora qualunque traccia) e gare per l’assegnazione di tutti i servizi sovvenzionati, regolazione indipendente del mercato. Risultati: traffico passeggeri +65% tra il 1995 e il 2009; quota modale del treno dal 5,7% del 1997 al 9,3% del 2009, quota di mercato dell’operatore ferroviario pubblico al 55% nel 2009.
3) ITALIA: separazione effettiva rete/trasporto NO, gare per i trasporti sovvenzionati NO, regolazione indipendente NO. Risultati: traffico passeggeri invariato tra il 1995 e il 2010 (46,7 miliardi di pax-km nel 1995, 48,1 nel 2010) a fronte di un aumento superiore al 30% per l’UE-15; quota modale del treno scesa dal 6,3% del 1997 al 5,6% del 2009 mentre nell’UE-15 è aumentata nello stesso periodo dal 6 al 7,2%, quota di mercato dell’incumbent al 95%.
Val la pena sacrificare il mercato ferroviario per difendere il monopolio (inconsapevole) dell’incumbent?
FONTE:http://www.chicago-blog.it/2011/10/19/monopolisti-a-loro-insaputa1-le-ferrovie/

mercoledì 19 ottobre 2011

RIFLESSIONI..

Dopo la festa, un po' di riflessione non guasta. Mi riferisco a Gilad Shalit, naturalmente. Da quando si è profilato lo scambio ho detto che non mi sento di valutare lo scambio, dato che non sono israeliano, e lo confermo. Credo che dalla comoda sicurezza dell'Italia noi possiamo solamente mantenere la solidarietà con Israele, accettare le sue scelte, gioire per il risultato immediato e preoccuparci per i rinforzi ricevuti dai terroristi – non certo metterci a discettare su che cosa si sarebbe dovuto o non dovuto fare, dall'alto della nostra lontananza e ignoranza di molti fatti, secondo il modello tipico dei falsi amici di Israele.

Però qualche ragionamento si può fare: non su Israele, ma sugli altri attori coinvolti nelle vicende mediorientali. Sapete per esempio come ha reagito l'Onu per voce del suo commissario per i diritti umani Navi Pillay (quella di Durban 3, quella che ha nominato Goldstone capo della commissione per la nomina dei giudici della corte internazionale)? Molto istruttivo. Ha detto di essere preoccupata. Un po' in ritardo, direte voi, perché non era mai stata turbata dal fato di Shalit. Infatti non è preoccupata per lui, ma per i poveri carcerati. I più pericolosi, quelli condannati in media per una decina di omicidi ciascuno, che non possono immediatamente tornare alle loro case o piuttosto alle loro fabbriche di bombe, ma sono costretti all'esilio (http://www.jpost.com/DiplomacyAndPolitics/Article.aspx?id=242289). Triste, vero?  Anche la Croce Rossa è preoccupata... per i palestinesi. Eh, non c'è giustizia per loro, poverini. Per questo sono stati costretti a uno scambio così iniquo... 

E l'Unicef? Per bocca del suo "rappresentante nei territori occupati" Jean Gough ha detto che a questo punto è imperativo liberare tutti i minorenni che stanno nelle carceri israeliane. Anche loro, di Shalit rapito a 19 anni non gli importava niente, dei terroristi imprigionati a 17 sì. Sono bambini... (ANSA 18-10-2011 11:39) Mi raccomando, non date soldi all'Unicef, non comprate cartoline o altri gadget, non aiutateli in nessun modo. Non se lo meritano, sono ben altro dei disinteressati difensori dei bambini che dicono di essere. Magari qualche volta lo fanno, ma non con tutti e non alla stessa maniera per tutti.

Poi ci sarebbe, lo immaginate, Amnesty International, che non ha trovato nessun commento migliore che lamentarsi delle "dure condizioni di detenzione dei prigionieri palestinesi", che non erano prigionieri ma carcerati, con tutti i diritti dei carcerati di tutto il mondo civile: avvocati, visite, compagni, scadenza della pena e innanzitutto un pubblico processo e niente minacce di morte, tutte cose che Shalit non ha avuto neanche lontanamente (http://elderofziyon.blogspot.com/2011/10/amnesty-international-becomes-even-more.html).

C'è la Turchia, che si è offerta di ospitare i detenuti obbligati per la loro pericolosità ad andare all'estero. E' uno dei tre stati che l'hanno fatto, ma non per favorire la pace o aiutare Israele, no: per ribadire l'alleanza con Hamas, come ha dichiarato un esponente governativo (http://www.ynetnews.com/articles/0,7340,L-4135644,00.html).

E ci sono naturalmente i palestinesi: quelli cattivi di Hamas e quelli "buoni" di Fatah. Lasciamo stare i primi, che in questa circostanza si sono confermati da sé rapitori, sequestratori, ricattatori. Sapete come hanno accolto i macellai che sono stati rilasciati nello scambio? Con una festa nazionale. "Eroi" li ha chiamati Mahmoud Abbas, il loro "presidente", quello pacifico che ha "abbandonato il terrorismo": "combattenti della libertà" gli assassini di bambini, i linciatori a nude mani, gli organizzatori di attentati negli autobus e nei ristoranti. Bella libertà, bell'eroismo. (http://www.haaretz.com/news/diplomacy-defense/abbas-greets-newly-released-palestinian-prisoners-you-are-freedom-fighters-1.390697). E sapete come ha risposto la folla dei fanatici convenuti: "Vogliamo un altro Shalit, Due Shalit, cinque!" (http://www.jpost.com/MiddleEast/Article.aspx?id=242258). Con questi aspiranti sequestratori Israele secondo il mondo dovrebbe affrettarsi a fare la pace. Celebrare ufficialmente gli assassini è ripetere il delitto una seconda volta, assumerselo ufficialmente. Com'è possibile perdonare questa gente (http://www.commentarymagazine.com/2011/10/17/palestinians-celebrate-murder-shalit/)? Come può il mondo sostenerli? Purtroppo può. Possono l'Onu, Amnesty International, la Croce Rossa

Ugo Volli

PS: Ancora un pensierino, che ho letto da qualche parte. Shalit è magro, peserà 50 chili. E' stato scambiato contro mille e rotti terroristi. Quanto vale ciascuno di loro? Un millesimo di Shalit. Se lo misuriamo in peso, cinquanta grammi. come un bicchierino di quelli che si usano per la grappa o un pugnetto di sabbia. Questo è il loro valore, autocertificato: un sorso, un po' di polvere. Che sia disperso per sempre.

Si Vis Pacem PARA BELLUM

Quando situazioni minano in maniera palese ed intollerabile i criteri minimi di libertà, di dignità, di tolleranza, Una democrazia matura può ricorrere alla misura estrema dell'intervento armato o alla sua minaccia credibile, che è tanto più credibile quanto più sostenuta da una consapevole e adeguata organizzazione e cultura militare.
Da questo punto di vista, cultura militare,competenza strategica e coscienza democratica non sono per noi incompatibili.

SVILUPPO delle mie Brame..

Questa settimana il governo deve varare il decreto sviluppo. Sarà un passaggio rivelatore. A nessuno è consentito essere così sciocco da credere che un decreto possa contenere formule magiche, capaci di far ripartire a turbo l’economia e scollarci da un regime di bassa crescita che, a parte la parentesi recessiva, dura da tre lustri. Né ha molto senso la polemica, che già si vede fra ministri, circa il “costo zero” dei provvedimenti da prendersi: chi crede che si possa spendere in deficit per sostenere la domanda non solo s’è perso qualche pagina di teoria economica, ma vive in un altro mondo. Quel che in quel decreto si dovrà leggere non è la mappa che porta a qualche nuova fonte di spesa pubblica, alimentata non si sa come, ma il tracciato attraverso il quale si possano abbattere barriere, protezioni e zavorre che imbrigliano il mercato e lo rendono asfittico. Le mura di cinta servivano, nelle città medioevali, per difendere la popolazione durante il sonno, per proteggersi dai rischi e dagli assalti. Ma quando dentro le mura cresce la penuria il problema non è come rafforzarle, ma come uscire dal sonno e sfondare l’assedio della paura, cercando fuori le risorse per non deperire. Il nemico dell’Italia odierna è la paura. E’ il terrore di perdere privilegi e rendite che rende tutto immodificabile, salvo capire, dal punto di vista collettivo, che se non si cambia ci s’impoverisce. Il compito del governo, quindi, è quello di far bene i compiti del rigore, secondo quel che è scritto nella lettera inviataci dalla Bce (cose giuste e ovvie, qui ripetute mille volte), senza con questo azzoppare la speranza di maggiore ricchezza, che può essere alimentata con vendite, privatizzazioni e liberalizzazioni.Faccio un esempio: è francamente ridicolo che si stia ancora a discutere delle tariffe minime amministrate dai burocrati del mondo forense, ovvero di limiti al mercato che danneggiano i giovani, non riguardano i grandi avvocati e difendono solo le rendite di chi ha banche e assicurazioni come clienti. Basta, questa commedia è durata fin troppo. Con il che, lo so già, mi sono conquistato la mia manata di mail risentite, vergate da legali che sentono minacciata la dignità della loro professione. Pazienza: noi che conduciamo da anni, anche nel loro silenzio, una battaglia per la giustizia sappiamo benissimo che il mondo funziona diversamente dall’Italia e sappiamo che quella resistenza corporativa si traduce in un costo per la collettività e un’umiliazione per il merito. Ebbene: che si veda il segno di un cambio di marcia.Se il decreto dovesse limitarsi all’ennesima manovra correttiva (pur necessaria), se non vi si scorgesse il coraggio del futuro, allora sarà la crisi politica a chiudere la partita, facendo scattare la trappola del referendum. Funziona così: la raccolta di firme e l’ipotesi di votare sul sistema elettorale è una trappola nella quale lasciano le zampe gli stessi che l’hanno organizzata, perché il ritorno al precedente sistema non è un danno per il Pdl, mentre lo è per il centro e per le capacità aggregative della sinistra, ma se l’insipienza governativa dovesse accompagnare il galleggiamento, che evitando i voti parlamentari eviterà la crisi ravvicinata, proprio la celebrazione del referendum renderà necessario riformare il sistema elettorale, per la qual cosa occorre un tempo più lungo di quello a disposizione di questo governo. Ecco la tagliola: a quel punto diventa forte, e sostenuta, la tentazione del governo di transizione, che nascerebbe sotto diverse cattive stelle, a cominciare dal fatto che la materia elettorale non è materia governativa. L’alibi sarebbe quello del governo dei bravi e dei belli, la sostanza consisterebbe nel conciliare i tempi pensionistici di non pochi parlamentari con il bisogno di varare un sistema elettorale che offra una ciambella di salvataggio alle formazioni meno forti. Ecco lo scambio, niente affatto virtuoso.La prima mossa spetta al governo. Se il decreto sviluppo sarà degno d’essere apprezzato e difeso, se conterrà non tutto, ma almeno l’anticipazione di quel che serve, allora l’alibi vacillerà. In caso contrario a vacillare sarà l’esecutivo, che passerà barcollando da un voto all’altro, fin quando non metterà il piede su una mina.
 www.davidegiacalone.it Pubblicato da Libero

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