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mercoledì 26 ottobre 2011





Valentina Colombo, donne in Arabia Saudita

ISLAM: LA SOLUZIONE E’ DONNA A PARTIRE DALL’ARABIA SAUDITA E DALLA TUNISIA 


Potrà sembrare strano, o addirittura assurdo, lanciare un appello a favore delle donne tunisine, cittadine di quello che fino a ieri era il paese arabo-islamico più laico, e delle donne saudite, ovvero le principali vittime dell’interpretazione più bieca e ottusa della sharia. Eppure ha un senso. Se Tunisia e Arabia Saudita sono agli antipodi come storia, sistema politico, risorse economiche, ebbene sono due paesi in cui la condizione della donna è messa a repentaglio da due interpretazioni apparentemente diverse, ma sostanzialmente simili dell’islam. La vittoria dell’estremismo islamico in Tunisia, nella fattispecie del movimento El Nahdha legato ai Fratelli musulmani mette in serio pericolo una tradizione di laicità che ha portato nel 1956 il neo insediato Habib Bourguiba a varare il Codice dello Statuto personale che ancora oggi è un unicum nel mondo islamico. Nel Codice si vietava senza mezzi termini la poligamia e si concedeva il diritto di ripudio alla donna. Nonostante il leader di El Nahdha Rached al-Ghannouchi, nei giorni successivi alla rivoluzione del gelsomino, abbia dichiarato di essere “per la democrazia, per lo statuto della donna in Tunisia che è il più moderno di tutto il mondo arabo”, che il suo “partito rappresenta un islam moderato e pacifico” vicino al al Partito della giustizia e dello sviluppo (l’Akp di Erdogan) in Turchia, resta sempre pur vero che nel Corano la donna vale la metà dell’uomo. Quindi la vittoria dei Fratelli musulmani darà sicuramente filo da torcere all’associazionismo laico femminile tunisino che è stato il primo a lanciare un grido d’allarme al rientro di Ghannouchi. Non va neppure dimenticato che lo scorso aprile quest’ultimo e il suo movimento sono riusciti ad ottenere dal Ministero dell’interno il permesso per le donne velate di farsi fotografare a capo coperto per la carta di identità. Lo scorso ottobre a Sousse, circa 150 chilometri a sud della capitale, si sono avute proteste dagli islamisti per il rifiuto di iscrivere una donna con il velo integrale. Ebbene, questo fa nascere in me grande preoccupazione per le donne tunisine cresciute e vissute in una tradizione laica che risale a ben prima dell’insediamento di Bourguiba. Dall’altra parte l’Arabia Saudita dove lo scorso 25 settembre il monarca Abd Allah ha pronunciato un discorso da molti definito storico davanti al Majlis al- Shura, ovvero l’organismo che affianca il potere assoluto del re e che propone le leggi. Il Custode delle due Sante moschee ha esordito fornendo le basi religiose alla propria scelta: “Una modernizzazione equilibrata nel rispetto dei nostri valori islamici è un’importante richiesta in un’epoca in cui non c’è spazio per i disertori e gli esitanti. La donna musulmana nella nostra storia islamica ha espresso opinioni e consigli corretti”. Segue la citazione di esempi di donne della storia dell’islam a partire dalla giovanissima moglie di Maometto Aisha, la Madre dei credenti, sino a Umm Salama, una vedova che si sposò con Maometto. In un paese in cui le donne, ancora oggi, non possono fare nulla, nemmeno ottenere la carta d’identità, se non dietro consenso del proprio “guardiano”, ovvero dell’uomo di famiglia, fa per lo meno sorridere la seguente affermazione: “Dal momento che rifiutiamo di marginalizzare le donne nella società in tutti i ruoli che rientrano nella shari’a, abbiamo deciso, dopo aver riflettuto con i nostri rappresentanti religiosi anziani e altri… di coinvolgere le donne nel Majlis al-Shura come membri, a partire dal prossimo termine”, ha dichiarato Abdullah, che ha aggiunto: “Le donne potranno concorrere come candidati nelle elezioni municipali e avranno anche diritto al voto”. Il discorso reale è tutt’altro che storico, perché, come titola il sito liberale Middle East Transparent, è tutto con il metodo “in shà Allah”, “se Dio vuole”, tipico del Regno saudita. Anche dieci anni fa il re aveva detto che le donne avrebbero dovuto svolgere un ruolo centrale nell’economia saudita. Da allora ci sono stati cambiamenti, molto graduali, nel timore di ripercussioni da parte dei religiosi più radicali. E così sarà anche in questo caso. Le donne che hanno manifestato e cercato in ogni modo di andarsi a iscrivere alle liste elettorali sino alla chiusura delle liste lo scorso 27 luglio, le donne che hanno lanciato una campagna per il voto alle donne, non sono andate a votare nelle recenti elezioni municipali del 29 settembre, ma dovranno attendere il 2015. D’altronde non dimentichiamo che gli uomini in Arabia Saudita hanno votato per la prima volta del 2005. Un fatto è certo: anche le associazioni femminili saudite non si accontenteranno di parole né di “concessioni” di diritti che sono universalmente riconosciuti come diritti fondamentali della persona. Come ha ricordato in un’intervista rilasciata ad al Jazeera Hatoon al-Fassi, docente di Storia delle donne all’Università King Saud di Riyadh e una delle sostenitrici più accese della causa del voto in Arabia Saudita, “le donne ora esigeranno la messa in pratica di queste promesse”, ma non solo, lotteranno con maggior accanimento al fine di vedere riconosciuti tutti i diritti che faranno di loro delle cittadine a pieno diritto. Anche Wajeha al-Huweidar, che da anni lotta affinché le donne saudite possano guidare, ha affermato che “si tratta di una grande notizia, ma che è giunto il momento di abbattere tutte le altre barriere che non consentono alle saudite di guidare e di compiere qualsiasi azione, ovvero di vivere una vita normale, senza un guardiano”. La pressione interna delle donne saudite dovrà comunque trovare alleati esterni, dalle ONG ai governi occidentali, dai mezzi di comunicazione alle istituzioni internazionali. Bisognerà iniziare ad anteporre i diritti umani fondamentali all’economia, bisognerà esigere la ratifica dei trattati e delle convenzioni internazionali senza se e senza ma. Basti pensare che nel 2000 l’Arabia Saudita ha ratificato la Convenzione per l’Eliminazione della Discriminazione contro le Donne (CEDAW) delle Nazioni Unite, con la seguente riserva “"in caso di contraddizione tra qualsiasi affermazione della Convenzione e le norme del diritto islamico, il Regno non è obbligato a osservare i termini contraddittori della Convenzione”. La strada è comunque tutta in salita. Il 27 settembre, ovvero due giorni dopo il discorso del re, Shaima Ghassaniya, una saudita riconosciuta colpevole di aver guidato senza il permesso del governo. è stata condannata a dieci frustate. Si è trattata della prima condanna del genere in Arabia Saudita, dove la guida non è vietata alle donne per legge, ma tramite editti religiosi. Molte donne erano state arrestate in precedenza, ma non avevano mai subìto condanne. Un'altra saudita che ha sfidato il divieto di guida, Najalaa Hariri, è stata interrogata il giorno precedente e sarà sottoposta a processo. Il 29 settembre il re Abdallah è stato costretto ad annullare la condanna di Shaima. "Grazie a Dio, la flagellazione di Sheima è stata annullata - ha annunciato su Twitter la principessa Amira Tawil, moglie del nipote del re e ricchissimo uomo d'affari Walid ben Talal -. Grazie al nostro amato re. Sono sicura che tutte le donne saudite saranno felici". La principessa Amita Tawil nel 2009 aveva affermato in un intervista al giornale saudita, Al-Watan, del suo sentimento di frustrazione per non poter guidare in Arabia Saudita, affermando che era pronta a farlo non appena il governo l’autorizzasse . " Sono pronta a guidare . Ho una patente internazionale e guido in tutti i paesi che visito" ha dichiarato, aggiungendo " vorrei guidare nel mio paese, con mia sorella o un’amica vicino a me al posto di un autista ". Le parole di una principessa, a mio parere, valgono poco. Vale invece lo sforzo delle attiviste legate alla campagna “Baladi” nata per portare le donne saudite al voto. Valgono le parole delle attiviste come Wajeja al- Huwaider e Fawziyya al-Uyyuni che qualche giorno fa hanno lanciato un drammatico appello perché hanno casualmente scoperto di essere state denunciate per motivi ignoti al commissariato di Khobar, nell’area orientale dell’Arabia Saudita. Sono convinta che la pressione interna delle attiviste e delle menti liberali saudite e tunisine e quella esterna dovrebbero fare fronte comune affinché non solo le donne residenti in paesi a maggioranza islamica, ma anche le donne musulmane residenti in occidente vengano considerate “persone” a pieno titolo e non solo persone che valgono la “metà” dell’uomo così come previsto in modo univoco e insindacabile dal diritto islamico.
ISLAM- DIZIONARIO
DONNE SAUDITE ALLA GUIDA.
Sono più di novantotto mila le auto registrate a nome di saudite ovvero il 25% delle saudite possiede un’auto. Ciononostante sono più di vent’anni che le donne saudite non possono guidare nel loro paese. E’ ormai tradizione che durante le vacanze alla fine del mese di Ramadan colgano l’occasione per recarsi in Bahrein dove possono utilizzare la loro patente di guida. Il tutto ha avuto inizio nel 1990 con una fatwa dell’allora gran mufti d’Arabia saudita, ‘Abd al-Aziz bin Baz. Va ricordato che in un paese come l’Arabia saudita, dove la costituzione è rappresentata dal Corano, una fatwa ha praticamente valore di legge. Nel frattempo qualcuno ha cercato di cambiare lo stato delle cose, ma invano. Nel maggio 2005 due membri del Majlis al-Shura, il parlamento saudita, Muhammad ibn ‘Abd Allah al-Zalafa e ‘Abd Allah Bukhari, hanno proposto di levare il bando alla guida per le donne al di sopra dei 35 anni all’interno dei centri abitati mentre in campagna solo se accompagnate. Lo stesso re ‘Abd Allah nell’ottobre dello stesso anno ha dichiarato che un giorno le saudite avrebbero potuto guidare, ma che la questione richiedeva pazienza. Il ministro della Difesa, il principe Sultan, venuto a mancare qualche giorno fa, ha affermato che la decisione spetta all’ambito familiare: “E’ una questione che riguarda i padri, i mariti, i fratelli” in poche parole i “guardiani” della donna. Non sono però mancate le voci dei liberali quale lo scrittore saudita ‘Abduh Khal che ha ricordato con una velata ironia che il codice stradale saudita non parla di genere del conducente per cui qualora una donna alla guida, rispettosa del codice della strada, venisse fermata da un poliziotto quest’ultimo non potrebbe farle nulla. Khal ha ribadito che si tratta di un divieto che non trova giustificazione né nel Corano né nei codici emanati dall’uomo in Arabia Saudita. Un’altra araba liberale, la poetessa Halima Muzaffar ha sottolineato in articolo pubblicato nel settembre 2007 che è il ricorso ad autisti stranieri che mette a repentaglio la sicurezza delle donne e dei loro figli perché “molti di loro sono stati inviati in Arabia saudita in quanto hanno la fedina penale sporca e sono stati cacciati dai loro paesi” e lancia una stoccata ai religiosi nel momento in cui sostiene che “è sorprendente che le persone che si oppongono alla guida delle donne consentono che la donna possa socializzare con degli sconosciuti” alla guida delle loro automobili. Ma a quanto pare per i religiosi conservatori è molto più pericolosa la libertà di movimento della donna. Lo shaikh Obaikan, teologo consigliere del ministero della Giustizia, sostiene, evidenziando la sessuofobia degli estremisti islamici, che “non c’è bisogno di levare il divieto di guida nelle città dove sarebbero esposte ai pericoli, alle violenze sessuali e quindi sarebbero causa di molti ingorghi stradali” e che quindi la polizia dovrebbe assumersi inutili responsabilità! Nel luglio 2005 in internet è comparso un comunicato di 138 teologi sauditi (http://alsaha2.fares.net/sahat/.ee6b2ff) in cui si sosteneva persino che la guida delle donne avrebbe potuto avere conseguenze sociali catastrofiche poiché avrebbe portato a situazioni compromettenti poiché ad esempio in occasione di un controllo della polizia le donne avrebbero dovuto sollevare il velo. In una fatwa pubblicata su www.islamonline. net lo shaikh Abd al-Fatah Ashur alla domanda riguardante la liceità della guida della donna musulmana in generale ha invece risposto che “se una donna obbedisce ai dettami divini quando esce di casa non c’è nulla di male se si mette al volante”, tuttavia precisa che la donna ha gli stessi diritti dell’uomo a patto che non si rechi in luoghi ambigui o pericolosi. In poche parole, sì alla guida delle donne, ma solo sotto stretta sorveglianza. Nel settembre 2007 le attiviste saudite Wajeha al-Huweidar e Fawziyya al- Uyyuni hanno costituito una Lega per promuovere il diritto della donna al volante. Per l’occasione hanno anche inviato una petizione al re, ma per ora nessuna risposta e nessun cambiamento. D’altronde quando la tradizione sociale viene avallata da una interpretazione letterale e conservatrice del Corano e quando i teologi detengono ancora il potere di dettare legge, tutto si complica enormemente. Ed è questo purtroppo il caso della “moderata” Arabia Saudita.
ISLAM- VOCI
WAJEHA AL-HUWEIDAR IN OCCASIONE DELLA FESTA DELLE DONNE 2008 “Oggi è la giornata mondiale della donna. La prima cosa che voglio fare è rivolgermi a tutte le donne che vogliono affermare i propri diritti. Spero che tutte le donne che non hanno ancora conquistato questi diritti combattano per ottenerli al più presto. Ovviamente sto guidando, ma lo sto facendo in una zona periferica dell’Arabia Saudita dove la donna può guidare, tuttavia nelle città, dove noi donne abbiamo veramente bisogno di guidare, ci è ancora vietato. In occasione della Festa della donna mi auguro che Sua Altezza il principe Nayef Abd al-Aziz, Ministro dell’interno, ci conceda di guidare al più presto. Noi siamo le donne che abbiamo sottoscritto la petizione che gli abbiamo fatto recapitare oggi affinché ci conceda l’autorizzazione a guidare nelle città. Molte di noi sono disposte a contribuire al miglioramento della condizione della donna che possiede la patente. Il problema, a differenza di quanto temono molti responsabili, non è una questione né politica né religiosa, bensì sociale. Noi sappiamo che molte donne saudite sanno guidare l’auto, ma non è loro consentito farlo. Se venissero aperte loro le porte e potessero uscire sarebbe più semplice estirpare questo pregiudizio che le riguarda e che le vuole inadatte a guidare. Per concludere spero che l’anno prossimo per la Festa della donna avremo ottenuto quanto richiesto”.
… purtroppo la battaglia continua ancora…

VALENTINA COLOMBO (Cameri, 1964) è docente di Cultura e Geopolitica dell’islam presso l’Università Europea di Roma e Senior Fellow presso la European Foundation for Democracy a Bruxelles. E’ membro del Comitato per l’islam italiano presso il Ministero dell’interno

http://www.informazionecorretta.it/main.php?sez=90
www.jerusalemonline.com

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