guerra all'italico declino

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lunedì 30 gennaio 2012

Fanno i dirigisti e le chiamano liberalizzazioni

Qualunque individuo, se vuole tagliare il debito, deve rinunciare a una parte dei suoi attivi patrimoniali. Chi riduce la propria esposizione debitoria deve ritrovarsi patrimonialmente più povero. Con un’eccezione: lo Stato italiano, che sembra intenzionato a scendere nelle classifiche dei paesi più indebitati attraverso i giochi di prestigio. Il trucco consiste nella cessione delle partecipazioni del Tesoro alla Cassa depositi e prestiti (che è del Tesoro al 70 per cento). Il progetto è stato rivelato alcuni giorni fa da Massimo Mucchetti, che oggi torna sul tema rispondendo anche, indirettamente, ad alcune mie critiche.
Prima di entrare nel merito vale la pena ricordare un paio di questioni. La Cdp è la “banca” del governo, che si finanzia prevalentemente attraverso la raccolta postale e detiene quote in gran parte delle partecipazioni cosiddette “strategiche”. Negli anni, Cdp si è dilatata, fino a essere presente in un ampio spettro di settori e aziende, che vanno dalle energie rinnovabili alle infrastrutture, dalla banda larga agli ospedali, direttamente o attraverso altri veicoli quali, in particolare, il fondo guidato da Vito Gamberale, F2i, sul quale abbiamo già avuto molto da ridire fin dalla sua creazione. Proprio per la sua natura di strumento pubblico, la Banca d’Italia ha sollecitato (e ottenuto) che fossero posti dei vincoli alla possibilità per la Cassa di “farsi banca” a tutti gli effetti. Per esempio, essa non può collocare le sue obbligazioni presso i risparmiatori.
La logica del passaggio delle azioni dal Tesoro a Cdp è puramente statistica, contabile e formale. Dice Massimo:
la Cdp è considerata da Eurostat fuori dal perimetro della pubblica amministrazione… Grazie a questo status gli incassi che lo Stato realizza cedendo i suoi cespiti alla Cdp possono essere detratti dal debito pubblico.
A sostegno di questa possibilità, Mucchetti cita i casi – del tutto analoghi – delle controparti francese e tedesca della Cdp, la Caisse des Dépôts e la Kfw.
La domanda di fondo è: tale passaggio è utile? A me pare proprio di no. E non solo per le ragioni che ho già esplicitato – cioè che non si tratterebbe di una vera privatizzazione e quindi non sortirebbe il genere di effetti pro-crescita e pro-concorrenza (PDF) che ci si può attendere altrimenti. Non è un passaggio utile per due ragioni diverse.
Una riguarda la stessa Cdp. Procedere lungo questa strada significa cambiare sempre più il volto di questo soggetto, facendone la holding “non dichiarata” di tutte le partecipazioni pubbliche, ossia una sorta di ministero delle Partecipazioni statali “informale” che, per ragioni definitorie, potrebbe non rientrare nelle statistiche comunitarie. Su questo, peraltro, sussistono dei dubbi, visto che il fatto che questo comportamento sia stato consentito anni fa a Parigi e Berlino non implica automaticamente che Roma potrebbe battere la stessa strada oggi senza problemi. Il punto è che, dal punto di vista sostanziale, poco cambierebbe: sarebbe pur sempre il Tesoro a scegliere gli amministratori delegati delle società pubbliche e a influenzarne le strategie, oltre che a esserne influenzato nelle proprie politiche e in quelle degli altri ministeri, sicché, ancora una volta, non saremmo di fronte ad altro che un mero cambio di etichetta. Peraltro con qualche difficoltà interna alla Cdp stessa, immagino: siamo sicuri che il 30 per cento di fondazioni azioniste accetterebbero senza battere ciglio una manovra che potrebbe avere l’effetto di patrimonializzare di più la Cassa, rendendo però meno agevole l’erogazione di dividendi? Le fondazioni bancarie saranno anche investitori lungimiranti e attenti al lungo termine e legati al territorio e tutte le altre cose che per prassi si dicono, ma nessuno le ha mai accusate di essere troppo indifferenti all’entità delle cedole…
L’altro aspetto è ancora più fondamentale. Supponiamo che, come dice Massimo, la Cdp trovi il modo di trasferire 50 miliardi di euro al Tesoro, in cambio delle azioni da esso detenute. E allora? Questo farebbe improvvisamente “sparire” quei 50 miliardi? Oppure, utilizzandoli a riduzione del debito, lo Stato si troverebbe “più povero” di 50 miliardi? Perché la grande ambiguità di tutto il progetto sta nell’illusione ottica per cui il gioco “Tesoro + Cdp” possa essere a somma zero. Delle due l’una: o il Tesoro utilizza davvero quei 50 miliardi a riduzione del debito, nel qual caso il gioco è comunque a somma negativa; oppure “se li imbosca” per finanziare spesa corrente, nel qual caso è a somma ancor più negativa. Senza che, a fronte di ciò, possa registrarsi alcuna altra conseguenza desiderabile.
Il punto a me pare sempre lo stesso: se si privatizza, si privatizza non solo per far cassa ma anche per cambiare i connotati al mercato. In caso contrario, siamo sempre fermi al nastro di partenza. Lo Stato non è disposto a disfarsi della bombetta da imprenditore, e quel che pudicamente chiama “privatizzazione” non è altro che la sostituzione dell’interventismo sfacciato all’interventismo smart.
FONTE:http://www.chicago-blog.it/2012/01/30/fanno-i-dirigisti-e-le-chiamano-liberalizzazioni/

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