guerra all'italico declino

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venerdì 10 febbraio 2012

Difendiamo la libertà di opinione! sterminiamo gli integralismi(ti)


Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 10/02/2012, a pag. 50, l'articolo di Viviana Mazza dal titolo " Anche la fatwa cinguetta su Twitter ma i social media non vanno censurati ".

                                   Hamza Kashgari
Un ventitreenne saudita ha usato Twitter per esprimere le sue idee, come fanno moltissimi suoi coetanei nel mondo. Nel suo caso, però, riguardavano Maometto. E ora rischia la pena di morte. Hamza Kashgari, scrittore e giornalista, ha «twittato» rivolgendosi al Profeta: «Nel giorno della tua nascita, dirò che ho amato alcuni tuoi aspetti, ne ho odiati altri e diversi non li ho capiti». In poche ore, sui social media è esplosa la rabbia: accuse di blasfemia, minacce, taglie sulla sua testa, «fatwe» dei religiosi via Twitter e YouTube. Hamza è fuggito in Malesia ma è stato catturato, estradato, e sarà processato. Aveva creduto che il sito di micro-blogging gli potesse permettere una maggiore libertà di espressione rispetto ai giornali del Regno. Non ha funzionato. Come lui, diversi suoi amici, dopo l'episodio hanno cancellato il proprio profilo. Ma la colpa non è di Twitter. Né il caso dovrebbe alimentare idee di censura, come quelle di David Cameron dopo i disordini di Londra.
Il problema, come dice da anni lo studioso di new media Evgeny Morozov, sono le visioni rosee che ignorano gli aspetti negativi della Rete. Le visioni rosee spingono a commettere errori. Gli attivisti liberal non sono gli unici a usare le nuove tecnologie: ad esempio, in Arabia Saudita dopo la resistenza iniziale, i religiosi e i loro seguaci hanno abbracciato le chat e YouTube per fare proseliti e, su Twitter, secondo alcune stime, sono loro i più seguiti (anche se solo l'1% degli abitanti twitta). I conservatori monitorano i rivali, pronti a usare le loro stesse parole per colpirli, e lo fanno pure i governi autoritari che infiltrano questi spazi. Hamza era cresciuto in un ambiente conservatore e si era «aperto all'umanità» dopo aver abbracciato il web, dicono gli amici. L'apertura a volte spinge a dimenticare i tabù.
Resta il fatto che strumenti come Twitter sono vitali in Paesi dove lo Stato controlla i media: possono essere usati per ottenere e diffondere informazioni, creare rapporti, mobilitare la gente. Dare la colpa a Twitter vuol dire darla vinta proprio a chi cerca di scoraggiare l'uso di questi «spazi aperti».

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