guerra all'italico declino

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sabato 4 febbraio 2012

Master Giannino sullo STATO LADRO!

Uno Stato meno ladro: paghi i suoi debiti come pretende le nostre tasse

Tra le tante condizioni ostili alla crescita del nostro Paese, campeggia un’asimmetria ruggente in Italia, tra ciò che lo Stato chiede alle imprese e ai contribuenti, e ciò che invece lo Stato riserva a sé. Ogni singolo secondo nell’adempimento dei doveri fiscali dovuti allo Stato si traduce in aggi, interessi e sanzioni. La pubblica amministrazione invece non ti paga a discrezione, per mesi e per anni. E tu non puoi farci niente. La dimensione dei ritardati pagamenti non ha una sola stima attendibile, perché la PA si guarda bene dal dare numeri sui propri debiti commerciali. Ma si pensa non sia ormai inferiore ai 70 miliardi di euro. Cinque punti di Pil. Poiché si tratta di una cifra che non solo ammazza imprese a centinaia, ma ha anche un impatto diretto sul totale del debito pubblico, è ovvio che la risposta al problema impone una strategia duplice. Da una parte, si tratta di risolvere l’oscena asimmetria nei rapporti tra creditori e debitori, se uno dei due è pubblico. Dall’altra, di cambiare strada nella gestione del debito pubblico in quanto tale, il peggior nemico della solvibilità e della crescita per l’intero sistema-Italia. Si può fare? Certo che sì.
Cominciamo dal primo capitolo. Tra le tante misure previste nel decreto liberalizzazioni enfaticamente denominato cresci-Italia, è stato compiuto anche un primo passo per l’accelerazione del pagamento dei debiti pubblici a privati.  E’ un passo parzialissimo e insoddisfacente, ma almeno è la rottura dell’omertà di Stato a proprio vantaggio, intollerabile mentre la crisi ha aggravato le condizioni delle imprese proprio in una fase in cui il credito scarseggia e la liquidità rappresenta un’urgenza quotidiana. Al fine di favorire il pagamento dei crediti commerciali – certi, liquidi ed esigibili – vantati  dalle imprese nei confronti delle amministrazioni statali sono stati resi disponibili 5,7 miliardi, almeno 2 dei quali mediante assegnazione di titoli di Stato. Bene? No.  Intanto,  le disposizioni contenute nel decreto sono riferite alle sole amministrazioni statali, mentre la gran parte dei debiti fa capo alle amministrazioni locali. Poi è contraddittoria con la finalità generale della norma la scelta di attingere le maggior parte delle risorse per il pagamento dei debiti pregressi da quelle disponibili per rimborsi e compensazioni di crediti d’imposta. Infine, viene rinviata a un successivo decreto MEF la definizione delle caratteristiche dei titoli che saranno utilizzati per il pagamento dei crediti: tali caratteristiche sono però fondamentali ai fini della valutazione dell’intervento.
In altre parole, siamo ancora mille miglia lontani dal recepimento della Direttiva Comunitaria “Late Payments” – approvata a marzo 2011 – che fissa in 60 giorni il termine massimo di pagamento nei rapporti commerciali fra PA ed imprese. Mancano infatti del tutto i necessari interventi sull’assetto organizzativo e sull’ordinamento contabile della pubblica amministrazione, così da renderli coerenti con le finalità della Direttiva e in particolare con l’obiettivo di assicurare il pagamento dei debiti entro 60 giorni. Mancano le norme per la certificazione dei crediti che pure sono state previste dalla Legge di Stabilità 2012, finalizzate a favorire lo smobilizzo degli stessi crediti presso il sistema bancario. A differenza di quanto previsto dalla stessa legge, occorre  estendere la piena certificazione e lo smobilizzo bancario  anche al settore della sanità che, sebbene sia tra i più colpiti dal fenomeno dei ritardati pagamenti, è sino a oggi rimasto escluso dalla possibilità di avvalersi della certificazione. Occorre ancora modificare le regole sul patto di stabilità interno in modo tale che gli enti locali virtuosi, con i conti in regola e che abbiano disponibilità di cassa possano pagare i propri debiti commerciali e quelli relativi agli investimenti. Bisogna rimuovere il blocco delle azioni esecutive relative ai debiti commerciali nei confronti delle aziende sanitarie operanti nelle Regioni firmatarie dei piani di rientro e/o commissariate, previsto, per il 2012, dal DL 98/2011. Bisogna prevedere la possibilità per le imprese di compensare i crediti verso la PA con i debiti iscritti a ruolo, indicata da u,a legge del 2010 puntualmente mai attuata, e che va semmai estesa  per assicurare alle imprese la più ampia possibilità di compensare i crediti con debiti verso il settore pubblico di qualsiasi natura.
Ma parliamoci chiaro. Senza un deciso cambi di marcia sulla gestione del debito pubblico, lo Stato avrà sempre buon gioco nel sostenere che far emergere altri  70 miliardi di euro di debito non è esattamente una decisione da considerare priorità nazionale. Anche per questo, infatti, bisogna abbandonare la strada sin qui seguita con assoluta continuità,  da 20 anni a questa parte, dalle manovre del governo Amato a quelle di Ciampi per entrare nell’euro, da quelle di Visco e Padoa Schioppa per abbattere il deficit a quelle di Tremonti della scorsa estate quando l’Italia è diventata il possibile detonatore dell’euro, sino al cosiddetto decreto salva-Italia del governo Monti, nello scorso dicembre.
La strada seguita è stata sempre la stessa, ad onta del variare dei governi, di sinistra, di destra o dei tecnici. Quella di proporsi come unica soluzione la via di un graduale abbattimento del debito, attraverso sanguinosi avanzi primari nell’ordine di 5-6 punti di Pil l’anno, da realizzare pressoché esclusivamente attraverso aggravi fiscali. E’ una strada che ha inchiodato il Paese a tassi di crescita sempre più bassi. Che ci ha regalato una pressione fiscale record, e che avvelena il Paese nella diuturna polemica tra chi sono i veri evasori.
Le quattro manovre triennali 2012-2014 susseguitesi nel 2011 hanno disegnato un orizzonte complessivo di miglioramento dei saldi pubblici fatto di 48,3 miliardi nel 2012, 75,6 nel 2013, 81,2 miliardi nel 2013. Per il 74% il miglioramento complessivo è stato deliberato da Berlusconi-Tremonti, per un quarto da Monti. Ma entrambi i governi condividono la via della sberla fiscale. Nel 2012, l’80% del miglioramento dei saldi si deve a più tasse. Con una pressione fiscale che supererà nel 2013 il 46% del Pil, e levando il 17% di Pil “nero” inglobatovi dall’Istat ecco che siamo al record mondiale del 54%.
Una via alternativa c’è. C’è eccome. Si tratta di decidersi ad abbattimenti del debito non lavorando sui flussi, ma sullo stock. Per decine di punti insieme, e senza effetti recessivi. La sola cessione dei mattoni della PA,  costituendoli in dotazione patrimoniale di un fondo chiuso immobiliare, da far gestire da attori di mercato e secondo procedure e con tempi di di mercato, è operazione che vale secondo le stime degli attivi patrimoniali del Tesoro dai 400 ai 500 miliardi. Un’azione di tal genere può diventare ancor più incisiva estendendola a tante delle 7mila società pubbliche a controllo pubblico locale, se proprio non si vogliono toccare quelle a controllo statale. Ed è un’azione che va accompagnata da interventi sempre sugli stock  e non più sui flussi estesi anche alla spesa pubblica: la spending review promessa dal governo non deve riguardare i 5 o al più 10 miliardi di euro di cui si vocifera, cioè briciole, ma 6-7 punti di Pil entro 6 anni come realizzato in Germania negli anni 2002-2007.
Chi dice “non si può fare” lavora solo per la permanenza del peggiore ostacolo alla crescita italiana. Cioè lo Stato come attualmente si presenta ai nostri occhi. Ipertrofico, inefficiente, guardiano di interessi per soli amici degli amici. E ladro, per di più. Ladro! Ladro!
 FONTE:http://www.chicago-blog.it/2012/02/03/uno-stato-meno-ladro-paghi-i-suoi-debiti-come-pretende-le-nostre-tasse/#more-11530

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